Lunedì 22 novembre 2010.


La nostra guida è scettica: non crede che riusciremo a partire per le 8,30. Scuote la testa e dice: Partiremo dopo le nove. Scommettiamo un caffè Illy?”. L'albergo si trova in posizione centrale e si sviluppa su un fronte di una quindicina di metri. Sulla sua lunghezza è contornato da altre costruzioni e le camere hanno le finestre che danno su piccoli cavedi fra le pareti delle case. La nostra finestra guarda un muro, ma la camera è moderna e funzionale. Con sei minuti di ritardo siamo tutti in pullman. Iniziamo la visita dal mausoleo di Ho Chi Minh. Una guardia si avvicina al nostro gruppo e, forte dell'autorità che gli deriva dalla sua divisa, ci impone di non stare fermi davanti al monumento ma di camminare. Non capiamo come mai lo dica solo a noi mentre ci sono altri gruppi fermi davanti al monumento e più vicini al limite imposto. Scorgiamo fotografi che si aggirano attorno a queste persone. Probabilmente fra di loro è presente una personalità di rilievo. Tre donne munite di ramazze raccolgono l'erba tagliata nelle aiuole del piazzale mentre un operaio sta ripulendo con un flessibile la pietra del monumento. E' da solo a svolgere il lavoro ed è arrivato a poco più di un quarto della superficie da rinnovare. Girando a destra. In meno di duecento metri arriviamo alla Pagoda sulla colonna. La pagoda è stata costruita come un fiore di loto nel 1049 dall'imperatore Ly Thay Tong. All'interno la statua della dea Quan Am apparsa in sogno, seduta sul fiore, che gli annunciava la nascita di un erede. In origine la colonna era di legno e la costruzione si trovava in un luogo diverso. Ora la colonna è di cemento e la fama del monumento, a parte la sua singolarità, ci sembra esagerata. Di fronte alla scala di accesso uno stretto passaggio permette di entrare nella Pagoda di Dien Hum. Un gatto nero è accovacciato sulla stuoia davanti alla statua che si trova nel cortile. Dentro alla costruzione una sala scura con statue e fiori, tutta lacca e oro. Uscendo dall'entrata principale del tempio, a destra vediamo l'esterno del museo di Ho Chi Minh. Risaliamo in pullman diretti al Tempio della Letteratura (Van Mieu). La costruzione dedicata a Confucio si sviluppa lungo cinque cortili ed è il luogo dedicato al sapere. Ancora oggi è un punto di incontro dedicato allo studio: vengono qui gli universitari che debbono dare un esame o chi festeggia una laurea o un matrimonio. A fianco del terzo cortile numerose stele poste su grandi tartarughe, segno di longevità, che recano incisi i nomi dei letterati vincitori dei concorsi per mandarini. Fra il quarto e quinto cortile c'è il tempio principale circondato da tartarughe e gru (simbolo di saggezza e conoscenza). Luogo principale di riunione e meditazione dove assistiamo ad un'esibizione musicale delle maestre del Conservatorio Orientale. Nella sala a fianco la statua di Confucio. All'esterno della costruzione da un lato si trova la campana, dall'altro il tamburo. Acquisto due cd del complesso musicale che si è esibito. Do una banconota e aspetto il resto. Dopo qualche minuto arriva la signora che dirige il complesso che con fare intrigante mi consegna un terzo cd al posto del resto facendomi capire che mi pratica un trattamento di favore. Lo fa in modo così gentile che non oso replicare. Penso però di avere qualche cosa che mi si legge in faccia: se uno deve chiedere qualche cosa come piacere, lo chiede a me ed io abbocco. La visita successiva è dedicata al Museo della storia del Vietnam dalla preistoria al medioevo. Il palazzo in stile coloniale è dipinto con un colore giallo ocra sfacciato. Al piano terreno sulla destra la parte preistorica. Mi ha fatto impressione vedere gli stessi oggetti ritrovati nelle nostre zone. E' incredibile come a distanze enormi si trovi la stessa cultura primitiva. Forse è il segno di un'unica diffusione della razza umana. Nelle altre sale i reperti sono curiosi ma non ci entusiasmano tranne per la statua del Budda Avalokitesvara in legno laccato rosso con i suoi 11 volti e le sue 42 braccia. Mentre nell'ultima sala a destra uscendo sono esposti oggetti del tesoro imperiale Bao Vat Hoang Lung. La collezione è stata arricchita in occasione della celebrazione dei mille anni di Hanoi. Splendide le corone decorate con filigrane d'oro e tempestate di diamanti. Un servizio da the in giada e oro, un portafogli, un piatto, una scultura di un drago, tutti oggetti in oro. Ci fermiamo davanti al teatro dell'opera. Con nostra sorpresa si va a pranzo. Anche oggi mangiamo con un orario da operai. Alle 12,15 siamo a tavola al ristorante Ha Hoi. Al termine del pranzo di buona qualità ci viene offerto il the. Abbocchiamo all'invito e prima di uscire ci viene chiesto di pagare la bevanda come extra. E' la prima volta che ci capita nei paesi dell'estremo oriente. Scendiamo davanti al tempio Den Quan Thanh. Attaccato al muro del recinto esterno uno specchio. Davanti un uomo seduto su una sedia pieghevole mentre un barbiere gli sta tagliando i capelli. A fianco un militare vigila: non si sa se il traffico o l'operato del barbiere. Il tempio è dedicato a Tran Vu, il guardiano che protegge la città sul fiume rosso. All'interno la statua in bronzo che effigia il santo. Mentre aspetta il nostro ritorno l'autista ne approfitta e si fa tagliare i capelli sul marciapiede accanto al pullman. Scendiamo davanti al lago della spada restituita (Ho Hoan Kiem). Su un'isoletta collegata alla terraferma da un ponte ad arco in legno dipinto di rosso, sorge il tempio dell'Isola di Giada (Ngoc Son). Il luogo nel XV secolo era riservato al re Thanh Tong. Nel 1739 fu costruito il palazzo della Propizia Allegria, Nel secolo XIX fu costruita sulle rovine del palazzo una pagoda riservata al culto di Van Xuong un personaggio che si è occupato di letteratura e del culto di Tran Hung Dao l'eroe vietnamita che ha sconfitto i Mongoli nel XIII secolo. Nel tempio c'è anche la statua di Quan Vu, un celebre generale e quella di La To medico tradizionale. Sotto una veranda, davanti alla porta del tempio due uomini stanno giocando a dama. Tutt'attorno un crocchio di persone che danno consigli. Poco lontano alle 15,30 abbiamo i posti prenotati al teatro Thang Long per assistere ad uno spettacolo di marionette sull'acqua. Prendiamo posto nelle due file riservate per noi. Una coppia entra per prima e, anziché scorrere sino in fondo alla fila, si ferma al centro obbligando chi la segue a complicati contorsionismi per andare oltre. Stando dietro un sipario che sfiora l'acqua una decina di persone manovrano magistralmente delle marionette, mentre un'orchestra di otto persone suona. Il teatro è pieno e lo spettacolo è piacevolmente inusuale. Usciamo dopo un'ora e aspettiamo di salire sui risciò a pedali con cui faremo un giro lungo le vie del centro. Il traffico delle moto e delle auto è caotico. Agli incroci tutti passano senza fermarsi. Percorrere queste strade a piedi in fila indiana sarebbe stato difficoltoso. Invece guardiamo tutt'attorno comodamente seduti, incastrati nello stretto sedile. I negozi, che si aprono sulle strade, sono raggruppati per lo più per genere. Passiamo davanti alla cattedrale cattolica di San Giuseppe, costruita in stile gotico. Dopo una quarantina di minuti torniamo al punto di partenza. Rientriamo in albergo. L'appuntamento è fissato per le 19,30 per andare al ristorante Madame Hien. La quotazione delle bevande è aumentata: il prezzo di una bottiglietta d'acqua da mezzo litro sfiora i due dollari. Van ci ha raccomandato di non mangiare verdura cruda ed è il piatto che ci viene servito per primo. La cena si risolleva quando arriva il secondo con degli ottimi gamberi, la frutta con le banane al caramello e il gelato di crema. Pagare le bibite risulta un'impresa: la cameriera deve riscuotere il dovuto, tornare alla cassa, fare i conti e restituire il resto. La scena si ripete per ognuno ed impieghiamo più di mezz'ora per l'operazione. Evidentemente anche qui gli extra costituiscono per il locale un'entrata considerevole rispetto a quella dell'intero pasto. Domani dobbiamo partire e lasciare ad Hanoi la maggior parte del bagaglio. Sul pullman non c'è posto per tutte le valige che abbiamo portato. Staremo fuori una sola notte e così partiamo con un bagaglio di emergenza.

Martedì 23 novembre 2010.


Siamo in ritardo sull'orario previsto e partiamo dall'albergo poco prima delle otto. Usciamo dalla città diretti alla baia di Halong. Alla periferia della città ci fermiamo in un piccolo mercato. I contadini hanno portato i loro prodotti e li stanno preparando per venderli. Accettano volentieri di essere fotografati e si divertono per aver stuzzicato la nostra curiosità. Continuiamo il viaggio lungo l'argine del fiume, vediamo le piantagioni di banani e mucche al pascolo: La giornata è grigia per la forte umidità. Ci fermiamo per osservare un bufalo che tira un aratro: il timone è di legno mentre il piccolo vomere è in acciaio. Arriviamo alla pagoda Chua Hung Nhat (della maestosa solitudine), costruita nel XII secolo, meglio conosciuta come But Thap, torre del pennello, così come è denominata la stupa in pietra, situata a fianco del complesso, che termina con una lunga punta. Il basamento a quattro piani è decorato a bassorilievi. Sulle due colonne prospicienti la nicchia, due draghi. I tre corpi del complesso sono racchiusi da un portico ligneo ed il terzo è collegato agli altri due da un ponte in pietra a volta: il ponte della purificazione. Gli edifici in legno sono stati ricostruiti secondo l'abitudine buddista nel XVII e nel XVIII secolo. Nell'ultimo edificio un grande mulino da preghiera che i fedeli fanno girare. Alle 11 ci fermiamo al Chan Tien Mi, un grande emporio di artigianato con laboratori di lavorazione della pietra, dipinti laccati, ricami e sartoria dove lavorano disabili. Anche qui come in tanti posti simili, appena siamo passati nella zona adibita alla vendita i laboratori chiudono, ma forse è perché siamo vicini all'ora di pranzo. Il negozio deve essere piaciuto molto perché c'è chi si attarda venti minuti oltre l'orario stabilito per la partenza. Gli edifici sono costruiti come ad Hanoi: il lato corto lungo la strada, mentre la costruzione si sviluppa sull'altro lato senza finestre anche se a fianco non c'è nessun altro edificio. In questo modo i lotti fabbricabili lungo la strada, dove può essere aperta un'attività commerciale, si moltiplicano anche in vista di uno sfruttamento futuro. Nella zona di Dond Trieu arriviamo al distretto di Mao Khe dove si trova una miniera di carbone a cielo aperto. Tutta la città è ricoperta di polvere nera.

Quando arriviamo alla baia di Halong sono già passate le 13,30. Ci fermiamo a pranzo al Tung Shig Halong Pearl Hotel. La sala dell'albergo dove hanno preparato un buffet è tutta per noi. Alle 15 siamo davanti all'imbarcadero per salire sulla giunca che ci porta a fare un giro lungo la baia. Attraversiamo i canali fra le isole di roccia calcarea con le pareti a picco sul mare dalle forme più disparate.

E' spuntato il sole e pur rimanendo una leggera foschia, ravviva il colore delle rocce e degli arbusti che vi crescono. Poi il regalo più atteso: il bel tramonto che aspettavamo da giorni. Dopo poco più di due ore ritorniamo e raggiungiamo l'Halong Plaza Hotel.

La cena si rivela particolarmente ricca con sushi, sashimi, ostriche, pesce alla griglia e formaggi francesi. Facciamo quattro passi sul lungomare davanti alla baia. Otto di noi si dirigono a sinistra verso il ponte sospeso. Un uomo attira la loro attenzione e chiede se vogliono salire sul ponte. Si? Allora chiede mezzo dollaro a testa, incassa i soldi, li conta con meticolosità e porta i nostri amici ad un ascensore che sale a cento metri di altezza. Al ritorno quando stanno per scendere scoprono che il servizio è gratuito. Vietnam batte Italia otto a uno!

Mercoledì 24 novembre 2010.


Sveglia alle 6,15 per imbarcarci nuovamente su un'altra barca della compagnia Hai Long Dream per una seconda navigazione nella baia. Alle 8 ci stacchiamo dal molo diretti a sud. Arrivati alla prima isola, anziché proseguire come ieri, entriamo in una piccola baia. La giunca ci sbarca e saliamo i 180 gradini per arrivare all'ingresso della grotta del Paradiso. Pietro ci ha preparati: “Chi non riesce a salire i gradini resta in barca! Alzi la mano chi resta.” Ma com'è possibile decidere senza rendersi conto di quanto possa essere impegnativa l'impresa? Il fatto è che si entra da una parte e si esce da un'altra e non è possibile fermarsi per tornare indietro: il percorso è a senso unico. Le barche si susseguono al punto di sbarco per poi spostarsi al molo per poter attendere i turisti. La ressa è tanta e la colonna di persone lungo il percorso è continua. Le grotte sono illuminate in modo fantasmagorico secondo un clichè ad effetto altamente turistico. Le formazioni calcaree sono imponenti. Usciamo e cominciamo a scendere i gradini. Quando siamo oltre la metà della discesa Van segnala il bivio da imboccare per arrivare alla grotta Dau Go (la grotta dei pali nascosti). La grotta, conosciuta da più di mille anni, è stata utilizzata per nascondere i pali che sono stati infissi nel fiume rosso durante il dodicesimo secolo per far naufragare le navi mongole che volevano conquistare Hanoi. L'imboccatura della grotta è grande e la maggior parte è illuminata dalla luce del sole. Il percorso è in legno e siamo solo noi a visitarla. Nel centro è stato allestito un palcoscenico per rappresentazioni musicali. Al nostro rientro in barca ci accorgiamo che quattro di noi, spaventati dalle minacce di Van sono rimasti ad aspettarci. Molte giunche sono attraccate su più file Districarsi dall'ammasso è difficile. La barca scricchiola strisciando le fiancate. Quando usciamo dal posto che occupavamo il buco si richiude immediatamente con un effetto simile a quello delle sabbie mobili. Proseguiamo la navigazione fra una serie di isolotti. Il paesaggio, pur sempre uguale, cambia in continuazione. Il sole non riesce a forare lo strato di nuvole e dissolvere la foschia. Quando arriviamo nei tratti aperti verso il mare, il vento teso increspa la superficie delle acque. Alle 11,30 siamo a tavola nel salone della giunca. D'accordo che ci siamo alzati alle sei ma così presto non avevo ancora pranzato. Poco prima delle 13 la nostra mini crociera termina. Un rapido passaggio in albergo per permettere a Van di rimediare ad una dimenticanza: non aveva firmato il voucher. Percorriamo a ritroso la strada che abbiamo fatto ieri. A metà strada ci fermiamo a Dong Trieu per visitare la fabbrica di ceramiche e porcellane. Questa produce grandi vasi da fiori decorati. Gli operai stanno riempendo i forni a legna. Nel secondo padiglione un'impastatrice sta mescolando la terra per riempire gli stampi. In un terzo padiglione sono in mostra ceramiche di tutt'altro tipo, prodotte altrove. Di scarsa qualità ma di alto prezzo. Ciò nonostante il bisogno compulsivo di comprare prende qualcuno di noi. Proseguiamo il viaggio e Maria ci dà la notizia che domani la sveglia è fissata per le cinque e la prima cosa che dobbiamo fare è di mettere subito le valige fuori dalla porta delle nostre stanze. Poco prima delle 17,30 arriviamo a destinazione e scendiamo allo stesso albergo dove siamo stati ieri l'altro. Questa volta la stanza che ci assegnano non solo è più piccola ma ci accorgiamo che la finestra dà sul corridoio. Usciamo per una passeggiata prima di cena. Il traffico è sempre caotico e i motorini sfrecciano da tutte le parti e lungo i marciapiedi sorgono improvvisati fast food. Riusciamo a trovare la cattedrale di San Giuseppe. Entriamo. L'interno a cinque navate è sobrio e semplice. Quando usciamo il sacrestano ha già chiuso la cancellata esterna. Non siamo gli unici ad essere rimasti intrappolati e ci riapre il cancello. Dopo cena andiamo subito in camera. Ci aspettano le valige che domani mattina debbono essere già pronte.

Giovedì 25 novembre 2010.


Questa mattina la sveglia arriva prima del previsto. Alle 4,10 suona il telefono. E' nostro figlio Gherardo che ha lacerato una gomma della mia auto contro un marciapiede e non trova il crik. Prima delle sei siamo già tutti in pullman e Maria tira un sospiro di sollievo. Ieri era molto preoccupata: l'orario di partenza è stato anticipato più volte e la chiamata telefonica per la sveglia è arrivata con un anticipo di quindici minuti. Per la seconda volta ci vengono date minuziose raccomandazioni per fare il check-in. Viene persino raccomandato alle signore di mettersi in disparte senza fare la fila per evitare di allungarla troppo: al precedente imbarco devono essere successe cose turche! Van ci intrattiene per trascorrere i 45 minuti che impieghiamo per raggiungere l'aeroporto e ogni cosa per lui può essere incredibile, impossibile, ma soprattutto miii...cìdiale! Il check-in fila liscio e veloce ma al controllo della sicurezza gli addetti fermano Marianna e le chiedono di aprire la borsa. “Jewels!” le dicono. Probabilmente ha rischiato d'essere incriminata per traffico clandestino di gioielli. Dopo un breve volo l'Airbus 310 atterra a Da Nang. Il cielo è coperto e a tratti spunta un raggio di sole.

Recuperiamo i bagagli e li sistemiamo sul camioncino che li porterà in albergo. Noi entriamo in città per visitare il museo delle sculture Cham. Ritroviamo Shiba, Ganesch e Garuda. Curioso il modo di raffigurare la fecondità: tutt'attorno ad alcuni piedistalli una corona di seni. Mentre siamo dentro al museo che si trova in una costruzione di colore ocra chiaro ad un piano, tranne l'ultima sala che ne ha due, cade uno scroscio violento di pioggia che dura pochi minuti.

Partiamo diretti a Hoi An. Dopo pochi chilometri ci fermiamo al Handicrafts Sculture Factory Tian Hieu 3. Siamo nella zona di estrazione del marmo ed il negozio vende manufatti di tutte le misure e fattezze. La maggior parte delle sculture esposte sembra difficilmente trasportabile come bagaglio a mano! Proseguiamo il nostro viaggio e dopo poco arriviamo alla vecchia città con gli edifici di stile coloniale. In ogni costruzione si apre un negozio sulla strada. Passiamo prima dal mercato della frutta e verdura. Una donna attira la nostra attenzione e offre di farsi fotografare assieme a lei. Alla fine chiede un dollaro. La richiesta mi sembra eccessiva e, dato che mi sono offerto io di scattare la foto, le porgo una banconota locale di valore più basso che la donna rifiuta sdegnata. Passiamo davanti al fiume dove le barche stanno traghettando motorini e biciclette da una sponda all'altra. Ci fermiamo per il pranzo al Tam Tam Jardin.

La sala al piano terra è aperta e, nonostante siano cadute due gocce di pioggia, è abbastanza calda. Le cameriere mettono in azione veloci ventilatori, ma temiamo che possano darci più fastidio che beneficio e li facciamo spegnere. Buono il pranzo con portate raffinate.

Dopo pranzo visitiamo per prima la Congregazione Cantonese Hoi Quan Quang Dong. Nel cortile una fontana a mosaico a forma di drago, sul fondo una sala con la statua del generale Quan Cong affiancata da quella della Dea del Mare e del Dio della Fortuna.

Appese al soffitto delle grandi spirali di incenso a forma di campana accese. Attraversiamo il ponte giapponese: un passaggio coperto lungo circa 20 metri con una struttura ad arco che poggia su pilastri. A metà del ponte un tempietto.

Subito al di là del ponte ci fermiamo a visitare la casa di Phung Hung, un edificio in legno a due piani che Van definisce di stile cinese, giapponese e vietnamita. Pur non conoscendo a fondo i tre stili, faccio fatica a trovare le singole somiglianze. Abbiamo un'ora di libertà ed ognuno si perde fra le strade ed i negozi a caccia di souvenir.

Ritornati al punto di partenza, nell'attesa che il gruppo sia al completo, riprendo un'anziana signora seduta sull'asta del suo bilanciere appoggiato fra la strada ed il marciapiede. Sta masticando il Belem, un miscuglio composto da una noce, dalla foglia dell'albero ed un po' di calce che produce una salivazione rossa che le scende dagli angoli della bocca. Ricordandomi della reazione della donna al mercato, le allungo una banconota di taglio maggiore ed il sorriso, pur senza denti, che mi rivolge è quello delle grandi occasioni. Proseguiamo a piedi ed arriviamo all'opificio Thang Loi. Qui sono al lavoro squadre di donne che eseguono ricami artistici su seta. Betta e Marianna decidono di acquistare due tovaglie proprio quando Maria stabilisce che è l'ora di ripartire. Ci si mette di mezzo anche la commessa che ha difficoltà coi resti e così siamo gli ultimi a tornare in pullman. L'albergo è poco lontano. Una costruzione centrale con tante villette a due piani ognuna con quattro stanze, con il mare da una parte ed un canale dall'altra. Particolarmente suggestiva la cena in una sala aperta sul canale, mentre due uomini su una barca dispongono sull'acqua tante lampade colorate illuminate da una candela. Dalla parte opposta il mare è mosso. Soffia il vento e ci addormentiamo col rumore delle onde che si frangono sulla riva.

Prosegui

Torna alla pagina iniziale del diario