Venerdì 26 novembre 2010 Il vento soffia ancora mentre la spiaggia è popolata da persone che passeggiano o corrono. La colazione non è all'altezza dell'albergo: le brioches sono stantie. Alle 7,30 si parte. Dopo pochi chilometri ci fermiamo a vedere un mercato di verdura, pesce e carne. Rientrato in pullman chiedo a Van come si chiama la città in cui ci siamo fermati. “Non lo so. Lo sanno gli autisti.” Ma non glielo chiede. Probabilmente sta mettendo in atto un'azione dissuasiva nei miei confronti, come lo sta facendo con chi gli rivolge troppo frequentemente delle domande. |
Arriviamo al sito archeologico di My Son e ci affrettiamo per assistere ad uno spettacolo che dovrebbe iniziare fra pochi minuti. Arriviamo ad una tettoia in paglia puntualissimi e prendiamo posto. Siamo contenti di essere al riparo perché sta iniziando a piovere. Ma lo spettacolo non ha inizio. |
Ieri è morto improvvisamente l'organizzatore e gli artisti oggi suonano al suo funerale. Iniziamo la visita che possiamo così fare in tutta tranquillità avendo più tempo a disposizione. I templi in mattoni rossi sono disposti in tre gruppi ma solo il primo è rimasto come è stato trovato nel 1800. Gli altri due sono stati bombardati durante l'ultimo conflitto ed ai danni del tempo si sono aggiunti quelli provocati dalle bombe. |
Partiamo per ritornare a Da Nang e alle 12,30 passiamo davanti al museo. Poco lontano ci fermiamo al ristorante Apsara per il pranzo. L'apparecchiatura è elegante e raffinata, le portate sono buone e la loro presentazione coreografica. Dopo un'ora e mezza riprendiamo il viaggio, passiamo davanti alla spiaggia, poi cominciamo a salire lungo i tornanti del passo delle nuvole. Facciamo una breve sosta nel punto più alto dove si trova il forte francese in mattoni ed il bunker americano che servivano per controllare la via che collega il nord al sud del paese. |
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