Martedì 11 ottobre 2005

Douz-Tamezret-Matmata-Tataouine-Chenini-Djerba (Km. 380)

Dal mare di sabbia al mare di acqua. Anticipiamo la sveglia ed alle sei siamo già in sala da pranzo per la colazione. Siamo i primi. Sta albeggiando. Dalle palme attorno alla piscina partono ad ondate stormi di uccelli, ognuno preceduto da un sonoro cinguettio. Sembra che ogni gruppo si chiami ed ad un preciso ordine parta compatto. Fa ancora freddo ed il cielo é velato.

Alle sette riunione con Hamda per conoscere il programma della giornata. Quello di oggi deve essere particolarmente intenso perché il briefing dura quasi venti minuti. Saliti sui fuoristrada ci dirigiamo ad est. Il panorama é piatto, lasciate le palme e le oasi, pochi e radi arbusti costellano il terreno. Sul ciglio della strada un cartello di segnalazione di pericolo per la possibilità di attraversamento di animali. Siamo abituati ai nostri con una mucca o uno stambecco. Qui l'animale raffigurato al centro del triangolo é il dromedario. Paese che vai, animale che trovi! Gianfranco afferma che mentre tutti dichiarano di sentire il mal d'Africa, comincia a sentire il mal della Padania. Dopo una sessantina di chilometri cominciamo a salire. Lungo le valli una serie di dighe di terra sono disposte, perpendicolarmente alla linea pluviale, attorno a piccoli appezzamenti di terreno per trattenere la scarsa acqua piovana e lì piccoli arbusti e qualche palma cercano di crescere. All'arrivo della pioggia ogni terrazza si ricopre di verde.

Ci fermiamo per una sosta tecnica a Tamerzet in un bar situato all'entrata del villaggio con terrazza panoramica che guarda verso la pianura che abbiamo appena lasciato. Di fronte, per attirare i turisti un piccolo cammello di quattro mesi. Esce il gestore dell'emporio con un biberon di latte in mano e lo porge per far scattare una foto nell'atto di allattare l'animale. Temo che, diventato grande, non sarà adatto per il trasposto dei turisti: quando ne vedrà uno vorrà mangiare.

Ancora pochi chilometri e ci fermiamo a Matmata, villaggio troglodita. Qui le case sono state scavate nella terra partendo da un pozzo centrale dove si affacciano le stanze. (Il nome troglodita deriva da un uccello che scava le sue tane verticali nella terra). La nostra guida ce ne fa vedere una dove é stata organizzata per noi una vera e propria dimostrazione. Alcune comparse prendono acqua dalla cisterna, cuociono il pane in un forno verticale, macinano i chicchi di grano e ci offrono miele e olio.

Prima del 1969, anno della grande alluvione, a Matmata non c'erano costruzioni ma solo pozzi. Chi é tornato a vivere qui ha costruito, accanto alla primitiva, un'altra casa con uno sviluppo fuori dal terreno. Nel centro del paese é stato ricavato, dall'insieme di cinque pozzi, un albergo dove é stato girato il primo episodio di guerre stellari, ed in uno dei cinque pozzi si trova ancora quello che resta del set che é stato montato per l'occasione.

Ripartiamo. Il paesaggio é brullo e la catena montuosa é erosa da millenni di piogge. Nulla trattiene la terra e la roccia che, ad ogni acquazzone, scivolano a valle. Quando raggiungiamo la sommità delle montagne e ci affacciamo sulla valle verso il mare, ci fermiamo per ammirare il panorama. Le case e i campi si alternano a rade palme in un insieme che sembra incantato. Scendiamo e saliamo lungo la catena più volte percorrendo una strada tortuosa e ripida. Una sosta per ammirare la vista del villaggio berbero di Toujane, poi verso mezzogiorno arriviamo a Ksar Hedada.

Nel centro del paese c'é il vecchio granaio che serviva alla popolazione che si dedicava al trasporto delle merci con i cammelli. Questo luogo é servito come set del primo episodio della seconda serie di guerre stellari. Ormai in rovina, sta per essere trasformato in un albergo. Invece di usare una malta di un colore che assomigli a quella vecchia, é stata usata, assieme al cemento, una sabbia grigia e l'intervento che ricopre i sassi cambia l'aspetto del luogo.

Proseguendo arriviamo al Ksar Elfarch, un altro agglomerato di case e magazzini poco distante, sempre costruito con un muro di cinta esterno, chiuso da una porta, con le case ed i magazzini volti all'interno. Questa volta lo attraversiamo in auto senza scendere. Proseguiamo in direzione di Tatauine e sette chilometri prima ci fermiamo per pranzare all'hotel Sangho. Siamo ormai stanchi e fa caldo, abbiamo qualche difficoltà a trovare i posti a tavola. I camerieri cercano di ammassarci facendoci sedere davanti a grossi tavoloni, uno a fianco all'altro, così vicini che é difficoltoso alzarsi e passare per raggiungere il buffet, che é di buona qualità e ci soddisfa.

Alle 14,30 partiamo diretti al villaggio berbero di Chenini (scinìni) fondato nel 1047. Ora é quasi distrutto, sempre a causa della famigerata alluvione del 1969. Alcune famiglie abitano ancora il villaggio che si trova sulla sommità di una collina. La maggior parte delle case sono diroccate e i muri fatti di pietre, trattenute da poca calce, si stanno sgretolando. Dopo una discesa, per qualcuno impegnativa, risaliamo in auto.

Ci aspettano altri duecento chilometri ma ora non incontreremo più montagne. La strada diritta taglia la pianura superando una serie di dossi. Le auto seguendo i dislivelli del terreno assomigliano al lungo carrello di un ottovolante. Trascorsa un'ora ci fermiamo a Oued Chehbenie, vicino al confine libico, le macchine abbandonano la strada asfaltata per un passaggio sulle dune. Il colore della sabbia é diverso e si avvicina ad un rosso mattone. Le auto si incrociano su e giù lungo le dune e, dopo una manovra più azzardata delle altre due mezzi si insabbiano. Dobbiamo scendere mentre gli autisti, liberate le ruote dalla sabbia spingono le auto per tirarle fuori dalla trappola che le ha fermate. Organizzazione perfetta, la regia del tour ha previsto nella scenografia, anche questa dimostrazione per aggiungere emozione ad emozione!

Poco dopo il sole spunta dalle nuvole che nel pomeriggio hanno ricoperto il cielo, illuminando la sabbia ed accendendola di colori vivissimi. Rosa sale sul tetto dell'auto e si fa trasportare per un mini rodeo. Ripartiamo per fermarci poco dopo davanti al lago di Scut Resifet ad ammirare il tramonto. Diamo tempo ai nostri autisti di rifocillarsi. E' giunta l'ora in cui possono nuovamente toccare cibo ed acqua.

Proseguiamo il viaggio ed attraversiamo il lungo terrapieno che sin dall'epoca romana collega l'isola di Djerba alla terraferma. Ormai é buio. Alle 19 arriviamo al Vincci Djerba Resort di Sidi Bakour, che dista 16 chilometri dal centro principale dell'isola. Qui sono concentrati gli alberghi, tutte strutture enormi con seicento camere ciascuno. Smisurata la sala da pranzo. Ottima la cena a buffet con acqua e vino a volontà. Dopo cena passeggiamo lungo il bordo della grande piscina che contiene anche isole con palme. Cerchiamo il mare e la spiaggia. Dobbiamo uscire e percorrere a piedi circa cinquecento metri. Sentiamo le onde del mare e ne vediamo da lontano la schiuma. La spiaggia non é illuminata e scorgiamo alcune ombre muoversi nel buio. Decidiamo di non proseguire oltre e stanchi rientriamo.

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