Giovedì 16 marzo 2006

La sveglia non suona ma ho aperto gli occhi alle sei. Il mio orologio biologico non si é ancora adattato al fuso. Scendiamo per la colazione. Di fianco all'ingresso, nel cortile alcune donne con in mano cinture, braccialetti e borse sono pronte come avvoltoi a precipitarsi addosso al turista per proporgli con caparbia insistenza l'acquisto di un monile. Qualche minuto prima dell'ora dell'appuntamento costringono Leo ad uscire nella strada a fianco del teatro Daniel Zebadua per poter meglio radunare il gruppo e spiegare il programma della giornata. A piedi percorriamo via 20 novembre, strada principale che parte dalla piazza della Cattedrale in direzione opposta a quella per raggiungere il monastero del Carmen, e raggiungiamo il mercato locale. Fatto per la gente del posto, presenta una variopinta esposizione delle merci in vendita, in prevalenza alimentari. C'é chi arriva con due polli od un tacchino vivo da barattare o vendere. Nella costruzione centrale si trovano i banchi del pesce e della carne cruda o cotta. Fuori accanto a carrioli da trascinare a mano, i facchini aspettano i clienti per trasportare le merci all'interno del mercato. Ritorniamo sui nostri passi ed entriamo nella chiesa di Santo Domingo, tutt'attorno bancarelle con stoffe e borse. Raggiungiamo la piazza della cattedrale di San Cristobal. Mentre stiamo per entrare, sul fianco nella piazza del Municipio, preceduta da una banda, si apre una sfilata di bimbi in maschera. Sono raggruppati per asilo. Stanno sfilando preceduti dai loro insegnanti e protetti ai fianchi dalle madri. Sono così graziosi che cerco di riprenderli: penetrare il cordone posto a protezione non é impresa da poco. Entriamo nell'interno della Cattedrale, semplice ed austero. Sul fondo una decorazione lignea di stile barocco. Davanti alla statua centrale una donna ha disposto una serie di candele accese. Inginocchiata prega recitando una dolce cantilena.

Usciti dalla chiesa ci disperdiamo lungo le strade della città con gli edifici bassi e variopinti. L'appuntamento é fissato per le tredici al ristorante tipico El Fogon de Jovel, ricavato in una casa coloniale. Il cortile é stato coperto con una tettoia trasparente. Occupiamo i tavoli sotto il porticato.

Ci servono le tortillas di mais appena cotte, assieme alle salse con cui accompagnarle. Potage di zucca e per secondo pollo condito con una salsa di colore marrone e riso. Macedonia di frutta (mango, anguria e banana) e caffé preparato davanti ai nostri occhi: la polvere viene messa sopra un filtro su cui il cameriere versa poca acqua bollente. L'infuso, raccolto in una tazza viene allungato con altra acqua e servito. Allietano il pranzo due suonatori di marimba. Alle 15 appuntamento a fianco della chiesa dove verrà a prenderci il pullman. Usciamo dalla città diretti a San Juan Chamula (luogo degli asini). All'arrivo il pullman si ferma all'ingresso del paese. mentre scendiamo Leo paga all'ufficio del turismo un biglietto di ingresso. A piedi percorriamo una strada in cemento che scende un leggero pendio per risalire di fronte. Al culmine entriamo nella piazza. Una serie di poveri banchetti la occupano quasi totalmente. Sono esposte verdure, generi alimentari e pochi altri oggetti. Piccoli ombrelli colorati riparano i venditori dal sole, ma di clienti fra i banchetti non se ne vedono. I venditori seduti sembrano delle comparse poste a coreografia della scena. Dal lato est della piazza il municipio, da quello a sud tre croci che simboleggiano il sole, la luna ed il loro figlio San Juan.

Di fronte alle croci, dalla parte opposta della piazza, la chiesa che ha davanti un ampio cortile. Dentro l'edificio, che non é consacrato al culto cattolico, viene praticato un culto che venera una moltitudine di santi le cui statue, racchiuse in teche trasparenti, sono disposte all'interno della chiesa (nell'edificio é proibito scattare foto). In fondo, al centro spicca la statua di San Juan. Sul lato sinistro si trovano i santi di sesso maschile, a destra quelli di sesso femminile.

Davanti alle effigi un numero incredibile di candele accese che rendono l'aria quasi irrespirabile. Sparsi per terra gli aghi di una conifera locale che vengono cambiati dopo quindici giorni, quando sono ormai secchi. Raccolti e conservati il 24 giugno vengono bruciati e la brace utilizzata per i riti di purificazione dai sacerdoti che vi camminano sopra. All'interno dell'edificio i guaritori pregano assieme ai fedeli a cui controllano la temperatura, il battito del polso, il colore degli occhi dando loro da bere il poif (una grappa di mais) o coca cola. Chiedono candele di vario colore (rosso, bianco, verde o giallo) secondo le necessità. Usano le ovaie di una gallina nera per propiziare la guarigione del malato. Il rito, che é un sincretismo di religione e superstizione, é molto sentito dalla popolazione locale. Viene praticato un solo sacramento: il battesimo. L'agnello (simbolo di San Giovanni) viene considerato sacro e ne viene usata solamente la lana. Dopo le 16,30 partiamo alla volta del secondo villaggio San Lorenzo Zinacantan (luogo dei pipistrelli). L'attività principale degli abitanti é la coltivazione di fiori e verdure in serre, assomiglia ad una piccola San Remo. Arriviamo quando il sole sta per tramontare e colora di rosso la bianca facciata della chiesa. Al suo interno si trovano molte immagini sacre e nel centro sopra all'altare maggiore l'effige di San Lorenzo. La chiesa é consacrata e tenuta dai Domenicani. Ci incuriosiscono gli specchi appesi alle cinture delle statue dei santi. Leo ci spiega che servono a tener lontano il malocchio. Ancora più curioso il cartello in quattro lingue (italiano compreso) che proibisce di fotografare dentro e fuori la chiesa, pena multe severe ed addirittura il carcere per i trasgressori. Da quando siamo scesi dal pullman siamo stati accerchiati da una decina di donne che pretendono che andiamo a casa loro per assaggiare le tortillas ed esaminare le stoffe locali ed i loro prodotti. Abbiamo già un appuntamento alla casa di Maria. Il gruppo non demorde e compatto ci segue puntando Daniela, avendo riconosciuto in lei il capogruppo. Solo dopo aver solennemente promesso che Leo porterà il prossimo gruppo che accompagnerà a casa loro, ci lasciano ripartire. Ritornati in città ci fermiamo a casa di Sergio Castro, un ingegnere agronomo che é venuto nel Ciapas e dedica il suo tempo e la sua attività ad aiutare le popolazioni locali, non solo insegnando l'agricoltura, la depurazione delle sorgenti e la costruzione di scuole, ma curando le malattie e le conseguenze degli incidenti, in particolare le ustioni. Ci descrive a lungo gli usi ed i costumi delle varie popolazioni locali in modo interessante ed appassionato. Ritorniamo a piedi all'albergo e alle 20,15 ceniamo. Poi tutti a letto presto: domani ci aspetta una lunga giornata di trasferimento. Partiamo col pullman diretti in Guatemala e dobbiamo percorrere più di quattrocento chilometri lungo strade tortuose.

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