Martedì 21 marzo 2006

I due pullman che ci caricheranno sono già davanti all'albergo. Sta albeggiando. Alle sei tutti a bordo e via. Siamo diretti verso nord ovest per attraversare il confine e tornare in Messico. Alle 7,15 una prima sosta a Las Cruces. Per accedere ai bagni bisogna pagare 2 quetzal a testa. Una signora prova a darne uno solo alla signora che presidia l'ingresso. Ma questa é irremovibile: o due quetzal o niente. Pagato il pedaggio, ad ognuno viene dato un metro abbondante di carta igienica. Formiamo una lunghissima fila davanti ai due cessi che si trovano all'aperto in fondo al giardino di fianco a banani e aranci. Nel paese attirano la nostra attenzione dei negozi di ferramenta e casalinghi con esposti dei machete dalla lama lunga quasi un metro. Alle sette e trenta partiamo in direzione di Betel nella zona del Peten lungo una strada polverosa che non é possibile definire bianca dato che il colore della terra tende al rossiccio. Davanti ai nostri occhi una pianura con palme di cocco, manghi e prati dove pascolano molti bovini. La proprietà é in mano a grandi latifondisti, che secondo il nostro autista Pedro, si sono arricchiti col narcotraffico e qui riciclano il denaro. Nei rancios (aziende agricole) scorgiamo uomini a cavallo per accudire al bestiame.

Superiamo il paese di Palestina e ci fermiamo a dare uno sguardo al cimitero coi monumenti funerari di tipo maya: tumoli in cemento dipinti con colori sgargianti. I parenti del morto nelle ricorrenze vengono sulle tombe per bere e mangiare.

Attraversiamo il paese di Los Chorros (sorgenti). Ormai siamo nelle vicinanze del fiume Usumacinta (fiume delle scimmie) e i campi sono sempre più verdi perché irrigati dai pozzi scavati nel terreno che vengono alimentati dalle acque del fiume. L'unità di misura dei campi é la manzana, che corrisponde al nostro ettaro (un quadrato col lato di 100 metri). Undici manzane formano una caballeria che una superficie che può essere perlustrata in un'ora a cavallo. Passiamo i paesi di Betania e Los Emanueles. Cominciamo a vedere le piccole alture della sierra Las Candonas. Alle 10,30 arriviamo al fiume.

Espletate le pratiche doganali, saliamo su quattro lunghe lance azionate da un motore fuoribordo. Per riparo una tettoia a forma di botte in foglie di palma. Dei ragazzini portano sulle spalle le nostre valige e le caricano su una quinta barca. Alcuni sono più piccoli delle valige che reggono. Le barche si staccano dalla riva e corrono veloci sul fiume nella stessa direzione della corrente. In mezz'ora arriviamo a Corozal. Abbiamo lasciato il Guatemala e siamo tornati in Messico. Sbarchiamo ed attendiamo le lance messicane per proseguire verso l'antica città maya di Yaxchilan (luogo dalle pietre verdi) che é contornata dalla foresta tropicale di Lacandòn in un'ansa del fiume. Alle 11,30 siamo già davanti all'ingresso L'abbandono delle città maya si ritiene sia stato causato da una rivoluzione sociale contro le caste dei sacerdoti e la leggenda vuole che siano rimasti nei templi trasformati in scimmie.

Gli edifici sono contornati da alberi secolari. Attraverso un buio passaggio sotto un palazzo, arriviamo alla grande piazza larga 80 metri e lunga 700. Tutt'attorno i resti di alcuni edifici. Caratteristici gli architravi scolpiti nella faccia inferiore. Saliamo una ripida scalinata per arrivare all'acropoli. Sugli alberi le scimmie emettono rauchi richiami.

Al termine della salita il tempio del sole (palazzo n. 33) con tre porte che immettono in un corridoio sormontato dalla classica volta maya. Sopra una serie di piccole aperture formano la cresta. Il vento soffiandovi attraverso provocava suoni che dovevano impressionare il popolo.

Alle 13,30 ci imbarchiamo nuovamente sulle lance per risalire la corrente e tornare a Corozal. Il tempo che impieghiamo per il ritorno é leggermente più lungo, fa caldo e ci rinfresca la brezza provocata dal moto delle lance. Lungo la riva una fitta e lussureggiante vegetazione.

Alle 14,40 arriviamo per il pranzo al centro turistico Escudo Jaguar. Beviamo abbondantemente: per il caldo abbiamo perso molto liquido.

Alle 16,30, saliti sul pullman che ci è venuto a prendere, siamo davanti alla dogana. Gli addetti si accontentano di controllare i passaporti che Leo e Daniela hanno portato, senza farci scendere. La nostra meta é Palenque il cui nome significa palazzi di pietra e dista 180 chilometri. La strada é tutta asfaltata ma in alcuni tratti é tortuosa ed all'approssimarsi di un villaggio le topas (cordoli rallentatori) si sprecano. Ne hanno sistemati una serie di tre o quattro, distanziati di poche decine di metri, in ogni piccolo villaggio. Poco prima del nostro arrivo il pullman, guidato da Abnes Soza, é costretto ad una deviazione per i danni causati dall'uragano span, che ha colpito lo Yucatan lo scorso ottobre. La strada é stata spazzata via e sono in corso i lavori per ripristinarla. Il percorso che é stato predisposto per transitare é in forte pendenza. Quando le ruote posteriori giungono nel centro dell'avvallamento, si piantano e la macchina si rifiuta di proseguire. Siamo costretti a scendere e far fare il piccolo tratto al pullman vuoto. Riusciamo così a vedere la scorta che ci segue. Stiamo attraversando una zona dove oggi vivono i guerriglieri del subcomandante Marcos e ci é stata assegnata una pattuglia per proteggerci. Siamo ormai esausti e finalmente alle 19,30, giunti a Palenque, ci fermiamo al nostro hotel Ciudad Real. Cena alle 20,30 sotto la tettoia di paglia del ristorante La Palapa che si trova nell'albergo. Un breve giro attorno alla splendida piscina poi a letto.

Mercoledì 22 marzo 2006

Sveglia umana alle 7 e alle 8 partenza per la zona archeologica. Non dobbiamo nemmeno preparare subito le valige Dopo la visita ritorneremo in albergo e possiamo tenere le stanze sino alle 13. Nonostante la zanzariera alla finestra, abbiamo trascorso la prima parte della notte a dar la caccia agli insetti, mentre non ne siamo stati minimamente disturbati al ristorante che era all'aperto. Cominciamo a dubitare che le reti servano ad impedire alle zanzare di uscire. Curiosa la fontana dell'albergo con tre coccodrilli ed una decina di tartarughe. Un pappagallo scorazza per i corridoi rincorso da una cliente che lo vuole accarezzare. Il povero animale mostra minaccioso il becco, ma la signora non demorde: vuole a tutti i costi toccare l'uccello. L'umidità a Palenque é altissima e scegliamo i vestiti più leggeri che abbiamo. In mezz'ora arriviamo all'ingresso della zona archeologica. Mentre Leo acquista i biglietti di ingresso abbiamo 15 minuti per pagare il permiso de video e fare acquisti nei negozietti. Non ho portato, per essere più leggero il gilet e nelle sue tasche ho lasciato il cappello. Devo assolutamente comprarne un altro. Arriviamo davanti ai templi. Siamo fortunati, qualche nuvola ci ripara e la giornata non é troppo calda. A tratti il sole spunta dalle nubi ed illumina i templi. La visita inizia dal tempio della Luna Calante per proseguire al tempio XIII da poco scavato e restaurato.

Si pensa che nel tempio, dentro ad un sepolcro internamente pitturato di rosso, sia stata sepolta una delle mogli di Pakal, il governatore che regnò sulla città dal 615 al 683 d.C. e fu sepolto in quello delle Iscrizioni che sormonta la piramide posta a fianco. Non é consentito a gruppi numerosi di visitare la tomba, di cui abbiamo visto la ricostruzione e la maschera di giada, che ricopriva il volto del sovrano, al museo antropologico di Città del Messico.

Davanti a questi templi si trova la tomba di Alberto Ruz Lhuillier, l'archeologo che ha dedicato la sua vita allo studio del sito. Saliamo sul palazzo, un complesso con cortili, corridoi e stanze ed al centro una torre a quattro piani usata come torre di avvistamento od osservatorio.

Fare fotografie é un'impresa: da ogni parte spuntano turisti e la zona é invasa da molti gruppi. Dopo che hai atteso a lungo che un particolare scorcio fosse libero da presenze umane, ecco che, prima che tu riesca a scattare, ne sbuca un'altro che copre l'immagine scelta per la foto.

Attraversato un piccolo canale saliamo su una diversa piazza contornata dal tempio del Sol (una struttura piramidale serve come base al tempio, al suo interno un adoratorio con el tabiero del sol, una massiccia pietra scolpita con la raffigurazione del sole), il tempio de la Cruz ed il tempio della Cruz Foliada (il rilievo al suo interno, a forma di croce, rappresenta una pianta di mais). Quasi tutti i componenti del gruppo affrontano le impegnative scalinate che portano sulle piramidi alla base dei templi, sopra ai quali é posta una struttura simile alla cresta di un gallo con una serie di aperture. Scendiamo lungo un sentiero che porta alla cascata della regina ed al tempio dei pipistrelli per uscire davanti al parcheggio dove il pullman si é spostato, perché davanti all'entrata non ci si può fermare. Alle 12 si torna in albergo. Dopo una doccia, cambiamo i nostri vestiti madidi di sudore e chiudiamo le valige. All'una a tavola e dopo un'ora, partenza in direzione di Villahermosa. Alla frontiera fra gli stati del Ciapas e del Tabasco la polizia ci ferma, uno degli agenti sale sul pullman per accertarsi che siamo tutti turisti e non vi sia gente del posto a bordo. La strada diventa diritta, é in costruzione la seconda carreggiata per trasformarla in un'autostrada. Sono in corso lavori di asfaltatura ed il traffico é leggermente rallentato, ma mai come dai dossi che abbiamo trovato in prossimità dei paesi. Arrivati a 17 chilometri dalla città, i lavori sono terminati, infatti c'è subito una barriera per la riscossione del pedaggio. Come fuori programma per ingannare il tempo che ci separa dalla partenza dell'aereo Daniela e Leo hanno pensato di portarci al Parque museo de La Venta, un museo all'aperto della cultura Olmeca. Giungiamo davanti all'ingresso poco dopo le 16 ed il parco é già chiuso. Villahermosa é una città moderna che si trova alla confluenza di tre fiumi. Il pullman passa davanti alla cattedrale, costruita a metà dello scorso secolo con due alte torri sulla facciata, e ci avviciniamo al centro. Alle 16,30 scendiamo e proseguiamo a piedi. La città non presenta particolari attrattive: il municipio, il ponte sul fiume, la piazza, qualche viale pedonalizzato. E' dura far passare il tempo sino all'appuntamento alle 19. Cinque minuti prima dello scadere del tempo concesso, siamo tutti sul pullman. Chi é rimasto con Daniela é stato più fortunato: hanno trovato un locale dove un gruppo di musicisti ha allietato la compagnia. Andiamo al ristorante Los Tulipanos. Nella grande sala é pronta una tavola a ferro di cavallo. Franco e Pina si siedono al centro del lato corto e sembra di essere ad un banchetto per una cerimonia. Ogni tanto qualcuno di noi grida: viva gli sposi! I camerieri cominciano a prendere le ordinazioni per le bevande. L'operazione risulta più difficoltosa del previsto. L'addetto deve scrivere ciò che ciascuno ha scelto riferendosi al posto che occupa nella tavola. Chiediamo una bottiglia di acqua purificata grande e la risposta é che non ce ne sono. La bottiglia che arriva, assieme al bicchiere, é minuscola (350 c.c.) e calda. Siamo gli unici avventori del locale e la cosa ci insospettisce. Il cameriere addetto alle bevande ripassa tre volte per controllare e segnare su un taccuino le ordinazioni consegnate. Dopo quaranta minuti arriva un paté di prosciutto di maiale con dei crackers Ritz. La salsa, che era l'unica cosa sul tavolo al nostro arrivo, é così piccante da risultare immangiabile. Ci servono un passato di mais. Lo mangiamo per ragionamento, temendo il peggio. Ed il peggio arriva: il piatto che viene servito per secondo vorrebbe essere anche raffinato per la presentazione. Su di una foglia di banano é disposto un miscuglio di verdure e carne macinata di colore verde-marrone, una purea di fagioli viola-marrone e a fianco due fette di banane al forno. Assaggiato il piatto, quasi tutti si fermano alla seconda forchettata: il sapore non é di nostro gusto. Solamente Marianna riesce a spazzolare il piatto. Caffè, per chi lo chiede e saldo del conto per le bevande. Raggruppiamo le bottiglie e cerchiamo di pagare in un'unica soluzione per agevolare le operazioni, ma mettiamo in crisi il cameriere che vede inutili tutti gli appunti del suo taccuino. Dopo un attimo di sbandamento, il ragazzo fa uno sforzo e si fida del conto che abbiamo fatto. Il resto come al solito non lo ha disponibile (nessuno dei camerieri ha mai avuto un portafoglio con una piccola cassa) e va a prenderlo alla cassa del ristorante. Quando ci alziamo ormai sono le 20,45 ed é ora di partire. Solo allora ci offrono i dolci in un carrello: lo fanno apposta! Saliti sul pullman Piero conclude che Los Tulipanos saranno dei bei fiori ma é anche un ristorante del ..... In poco più di venti minuti raggiungiamo l'aeroporto per partire diretti a Merida. Ognuno prende le proprie valige e le consegna all'accettazione. Mi accingo a passare il controllo per la sicurezza: mi tolgo gli occhiali, l'orologio, la cintura e passo sicuro attraverso la porta del metal detector che suona. Torno indietro, mi tocco tutte le tasche e trovo il borsellino con le monete. Ripasso attraverso il varco e di nuovo suona l'allarme: il tutore! Mi sono scordato che ho addosso il tutore con lo snodo in ferro a protezione del ginocchio. Partiamo col volo 481 della compagnia aerea Aviacsa con un boeing 737-200 alle 22,50 ed alle 23,35 le luci di Merida appaiono sotto di noi. Alle 0,15 tutti in pullman ed all'una siamo nelle nostre stanze all'hotel Hyatt Regency.

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