Giovedì 23 marzo 2006

Alle 7 sveglia. Finalmente abbiamo abbandonato le colazioni frugali ed è un tripudio di brioches e frutta. L'albergo é molto grande e confortevole, un vero cinque stelle. La ventilazione dell'aria condizionata nella nostra stanza é rumorosa e discontinua. Arrivato alla temperatura scelta l'impianto si ferma e quando riparte il rumore mi sveglia di soprassalto. Dormo a tratti meno di cinque ore. Il generale Betta, sconvolto dal breve tragitto dall'aeroporto all'albergo fatto ieri sera negli ultimi posti sopra al motore, ordina al sergente Giovanni di formare una testa di ponte sul pullman ed occupare i posti anteriori. Conscio della responsabilità della missione affidatami, riesco a battere in velocità le truppe del nemico. Sono il primo ad arrivare ed a salutare il nuovo autista Manuel Ramirez. Partiamo diretti alla zona archeologica di Uxmal. Percorriamo l'avenida Itzaes in direzione dell'aeroporto, passiamo davanti al parque del centenario dell'indipendenza del Messico 1818-1910, vecchio parco della città. Abbandoniamo la superstrada che stiamo percorrendo in direzione ovest percorrendo uno svincolo che ci porta a sinistra in direzione sud. Mancano 56 chilometri ad Uxmal. Il terreno è calcareo ed in superficie non scorrono fiumi. Alle 9,30 arriviamo.

All'ingresso ci mettono al polso un braccialetto di plastica giallo come controprova del pagamento del biglietto. Sembra di essere alla marchiatura di un gregge.

Entriamo, passiamo a fianco di una cisterna per la raccolta delle acque piovane, e ci troviamo di fronte alla piramide del Mago. Alta 35 metri. Si tratta dell'edificio più alto della città con gli angoli arrotondati. Giriamo attorno alla costruzione ed entriamo nel monastero, un insieme di quattro edifici affacciati su un cortile centrale. Numerose rondini che hanno nidificato nelle volte delle stanze, volano davanti agli edifici uscendo ed entrando a frotte dalle porte.

Il cielo, parzialmente velato si é rasserenato e la temperatura sta salendo. Nella parte alta delle facciate, sopra alle porte delle camere, una serie di decorazioni con maschere, motivi geometrici e serpenti. Attraversiamo il campo da gioco dove si svolgevano le gare della palla. Al termine della partita, secondo una teoria venivano uccisi i perdenti, ma secondo quella più accreditata la vittima che veniva sacrificata era il capitano della squadra vincente ed era ritenuto un grande onore: il fanatismo religioso sembra non sia nato oggi.

Saliamo i gradini della grande piramide poi passiamo davanti al Palazzo del Governatore che é l'edificio più bello. Nella parte alta della facciata si trovano una serie di decorazioni geometriche ed al centro una grande maschera.

Dopo aver visitato la casa delle tartarughe, ci dirigiamo all'uscita.

I gradini che discendono il pianoro della casa del Governatore sono diventati lisci per il passaggio di numerosissime persone: si scivola come se fossero di ghiaccio.

Sui sassi spuntano qua e là numerose iguane che rimangono immobili al nostro passaggio e sono la curiosità di tutti: probabilmente sono il soggetto più fotografato della visita. Alle 11,50 siamo davanti all'uscita, l'appuntamento al pullman é per le 12,15 per raggiungere il ristorante Maya Ceramic che si trova a Muna un paese poco distante. Pranzo ottimo con pollo e maiale pibil ricoperti di foglie di banano, cotti al forno dentro un contenitore con coperchio. Il forno, fatto con mattoni refrattari è interrato. Viene formato un braciere e la casseruola quadrata viene messa all'interno, ricoperta con una lamiera ondulata e sigillata con cenere per la cottura. Come bibite ci servono margarita e peto de la strega. Come piatto di inizio ci servono una supa di lime con nacios (triangolini secchi di farina di mais). Alle 14,30 ripartiamo per tornare a Merida. Il cielo si sta annuvolando, sulla nostra sinistra si distingue un temporale. Dopo un'ora siamo in città, il pullman entra nel cimitero: la strada passa in mezzo ai monumenti funebri. Guardiamo dal finestrino senza fermarci. Usciti da una diversa porta, passiamo davanti alla Hermita de Sant'Isabel. Ha cominciato a piovere ed alcune gocce corrono lungo i vetri del pullman. Passiamo sotto l'arco de San Juan, entrata della città vecchia, di fianco all'omonima chiesa. Svoltiamo a destra e dopo poco arriviamo nella piazza della cattedrale (Plaza Principal). Da qui parte la strada n. 60 che porta direttamente al nostro albergo. Quando scendiamo sono le 15,45. L'appuntamento per il ritorno é fra tre ore. In attesa dell'apertura della cattedrale, visitiamo il Palacio de Gobierno. Lo Yucatan é uno stato. Il nome deriva da "ciù tan" che é la risposta alla domanda che i conquistatori spagnoli hanno fatto agli indigeni quando sono sbarcati: "come si chiama questo luogo?" "ciu tan (non capisco). All'interno un cortile. Lungo lo scalone e le pareti del salone del primo piano, i murales dipinti da Ferdinando Castro Pacheco che raffigurano la storia dello Yucatan. La costruzione della Cattedrale é iniziata nel 1561, in stile rinascimentale con linee sobrie e disadorne. Conserva al suo interno il Cristo de Las Ampollas (Cristo nero delle vesciche) a cui i fedeli si rivolgono per guarire scottature ed ustioni. Affacciata al lato sud della piazza la casa de Montejo, i conquistatori della penisola e fondatori di Merida. Proseguiamo lungo la strada n. 60 ed entriamo nel mercato de Artesanìas, pieno di piccoli negozi. il caldo umido é opprimente e dopo poco ricomincia a piovere. Siamo prigionieri dentro al mercato dove i negozianti ci toccano e fastidiosamente ci invitano a comperare. Leo ce lo aveva decantato come una piccola meraviglia, ma il mercato in parte ci delude. La cosa più caratteristica sembra essere la presenza di piccoli laboratori di oreficeria dove artigiani eseguono riparazioni su gioielli appoggiandosi al banco di fronte ai passanti. Trattiamo l'acquisto di un tappeto, ci accordiamo per il prezzo. L'uomo chiude l'oggetto in una busta di plastica e fa il gesto di darcelo, per ottenere il denaro. Avute le banconote si gira e con la scusa di preparare il resto, afferma che metterà l'oggetto in un'altra busta. Marianna prontissima, memore dello scambio delle statuette di onice, afferra la busta di plastica e dichiara: "Va bene questa!" prima che l'oggetto venga sostituito con un altro di minore pregio. Le contrattazioni per gli acquisti continuano frenetiche alla ricerca di una guajanera per Gherardo. Ma senza esito. Riusciamo a convincere Leo a portarci dove pochi giorni fa ha comperato quella che indossa. Lo fa con riluttanza. Quando siamo nel negozio e le signore cominciano le contrattazioni, mi propone di andare a bere un caffé. Lo accontento volentieri ed andiamo al Café Express. poco lontano di fronte al parco Idalgo. A fianco si trova una chiesa e quando gli altri ci raggiungono entriamo per vedere l'interno. Mentre siamo dentro l'edificio comincia a diluviare. Abbondanti scrosci d'acqua ci impediscono di uscire. Ormai mancano pochi minuti all'appuntamento col pullman, la pioggia sembra essere diminuita e la affrontiamo. In questo viaggio ho portato l'ombrello, che si trova in albergo dentro alla valigia e la giacca impermeabile, che sta nello zaino dentro al pullman. Questa mattina non sembrava una giornata in cui avrebbe piovuto e quando siamo scesi dal pullman sembrava che l'acquazzone fosse finito. Pazienza, la pioggia é calda e non ne siamo raffreddati. Cena alle 20,15 a buffet in albergo, una breve passeggiata nel centro commerciale dell'edificio di fronte dove si trova l'hotel Fiestamericana. Anche qui come al mercato vediamo in un negozio un vaso di vetro dentro al quale stanno insetti con lustrini ed una catenella attaccati al dorso dorato. Chiediamo al negoziante, che ci ha venduto gli introvabili francobolli per le cartoline, di che cosa si tratti: sono Maquech, scarabei portafortuna che le signore si appuntano sul vestito come spille viventi.

Venerdì 24 marzo 2006

Il cielo é coperto. Alle 8,15 lasciamo l'albergo diretti al buolevard Francesco de Monteco con eleganti ville e palazzi alte al massimo tre piani. Ci dirigiamo alla periferia della città e imbocchiamo la strada a due carreggiate con due corsie ciascuna che porta a Cancun. Il paesaggio é piatto: una bassa boscaglia ricopre il terreno. Alle 10,20 arriviamo all'ingresso del sito archeologico. Il pullman paga il pedaggio di ingresso al parcheggio. Scendiamo e, mentre Leo fa i biglietti, ci prepariamo ad entrare. Le nuvole si sono infittite e minaccia pioggia. Anche qui ci marchiano con un braccialetto giallo. Sono pronto ad entrare, mi hanno già bucato il biglietto, quando l'inserviente mi chiede la ricevuta per l'uso della telecamera: ecco cosa mi sono dimenticato! Torno indietro, pago i 30 pesos e mi ripresento per entrare nell'area archeologica di Chichen Itzà, il centro dei Maya-Toltechi.

Appena entrati ci troviamo di fronte a El Castillo, la piramide centrale che domina tutto l'insieme, alta 30 metri. In cima al castello il tempio dedicato a Kukulcàn. Non facciamo a tempo a gustare lo spettacolo che comincia a piovere.

Ci ripariamo sotto gli alberi mente Leo va a comperare degli impermeabili di plastica. Ne prende 19 e vanno a ruba. Sono di colore azzurro e una volta indossati, formiamo una colonna di puffi guidata dal grande Leo mentre ci dirigiamo al sepolcro del gran sacerdote.

Passiamo davanti all'osservatorio, una costruzione a forma cilindrica detta anche caracol, la chiocciola.

Ora ha smesso di piovere e la nostra visita prosegue più agevolmente. Bellissima la casa de Las Monjas (monastero) con splendide maschere a decorazione dei frontali degli edifici sopra alle porte.

Torniamo indietro e saliamo sulla piattaforma dell'osservatorio.

Percorriamo un sentiero fra gli alberi per arrivare al Xtoloc Cenote, il più piccolo dei due pozzi sacrificali dove venivano gettate le offerte e fatti sacrifici umani.

Proseguiamo e quando ci troviamo in mezzo al gruppo delle mille colonne, davanti al castello dalla parte opposta all'entrata, ricomincia a piovere con maggiore insistenza. Passiamo davanti alla piattaforma di venere e lungo un largo sentiero ci dirigiamo al Pozzo Sacro, il secondo cenote, ritenuto il luogo di culto del dio Chac.

Lungo la strada i venditori di souvenir fanno pochi affari. Hanno ricoperto con teli di plastica la loro merce e non riescono ad iniziare una trattativa con i turisti che si affrettano per la pioggia. Dopo aver nuovamente percorso la sacbe (strada maya) che porta al pozzo, passiamo davanti alla piattaforma dei teschi ed entriamo nel campo del gioco della palla, lungo 168 metri.

A fianco due costruzioni con infissi da ambedue i lati due anelli scolpiti attraverso cui si ritiene dovesse essere fatta passare le palla. Sotto, una serie di rilievi ritraggono 7 giocatori contro sette. Passiamo nuovamente davanti al castillo e la pioggia diventa torrenziale. Sembra quasi che rinforzi ogni volta che arriviamo vicini al tempio, che fra noi si celi un discendente di un sacerdote maya la cui capacità era di evocare la pioggia? Una breve sosta all'ingresso e alle 14 ci dirigiamo col pullman al ristorante Hacienda Xaybeh D'Camara, un grande locale con un porticato con al centro una piscina ed una sala poco illuminata dove non si vede quasi nulla, con lunghe tavolate e due banchi per servirsi a buffet. Sembra una mensa, ma la qualità del cibo é quella di un ristorante. Allietano il pranzo quattro ballerini che fanno sfoggio di abilità portando in equilibrio sopra alla testa prima bottiglie di birra, poi interi cabaret con bottiglie e bicchieri. Poco dopo le 15 partiamo diretti a Cancun e la maggior parte di noi cade in un profondo sonno ristoratore. L'autostrada prosegue diritta e deserta. Leo ci fa un riassunto del viaggio preciso e meticoloso. Ringraziamo Leo e Daniela. Arriviamo a Cancun alle 18. Sono ancora evidenti nelle strutture alberghiere i danni del ciclone. Molti locali hanno esposto un grande cartello: "abierto". Proseguiamo lungo una lingua di terra cementificata. Da una parte c'é la laguna, dall'altra il mare con un colore che vicino alla riva cambia dal bianco, all'azzurro, al blu. Il vento soffia e fa piegare quel poco che resta delle foglie delle palme. Arriviamo all'hotel Presidente Intercontinental. Distribuzione delle stanze ed appuntamento alle 20,15 per la cena. Il ristorante é all'aperto sotto una grande tettoia di foglie di palma in riva al mare. Nonostante ci sia vento ci hanno ben apparecchiato i tavoli in un angolo riparato e finalmente hanno messo una bottiglia d'acqua davanti ad ognuno di noi. Potage di funghi, poi pescecane alla griglia con riso e verdure cotte. Per finire una pera bollita e una breve passeggiata sulla spiaggia dell'albergo. La prima impressione che abbiamo avuto entrando non era stata buona: ci hanno fatto entrare dalla porta di servizio. La costruzione a tre piani si sviluppa lungo il mare attorno ad una splendida piscina e davanti alla spiaggia. Poi tutti a letto in fretta: domani la sveglia é fissata per le quattro.

Sabato 25 marzo 2006

Alle 4,30 siamo tutti nella hall dove l'albergo ha preparato una colazione in piedi. In un battibaleno tutto sparisce ed é necessario un rinforzo per chi ha tardato solo pochi minuti. Alle 5,30 partenza ed alle 5,45 siamo in aeroporto. Check-in e alle 6,55 decollo. L'aereo é un A 319 della Compagnia Mexicana diretto a Città del Messico. Il corrispondente locale, che ha confermato i biglietti per il viaggio e prenotato i posti, non ha fatto un buon lavoro. Molti si trovano separati e per noi non é stata ancora fatta la prenotazione del volo Madrid Bologna. Paziente e ostinata Daniela rimedia al pasticcio e cambia i posti all'aeroporto di Città del Messico. Inizia la tratta più lunga del viaggio e dobbiamo recuperare otto ore di fuso orario, una di più perché stanotte entra in funzione l'ora legale.

Domenica 26 marzo 2006

Arrivati a Madrid, baci ed abbracci. Ci salutiamo ed ognuno prende il volo che lo riporterà a casa. E' stato un viaggio pesante, massacrante per il mio ginocchio, ma ne valeva la pena. I colori del Guatemala, gli incredibili monumenti dei Maya, gli alberi enormi e le piante lussureggianti della foresta tropicale, i coccodrilli, le scimmie... Aveva ragione il medico ortopedico dell'ospedale di Vigo di Fassa: "Un viaggio così non me lo lascerei scappare!"

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