L'intensità del vento é aumentata. Procediamo a motore diretti alla marina di Gouvia sull'isola di Corfù. Passato il canale ci troveremo a ridosso dell'isola e dovremmo essere protetti dal vento in modo da poter issare le vele.

Domenica 21 luglio 2002.

L'isola di Othonì assieme a Erikusa e Mathraki fa parte delle isole Diapontie. Si trovano a nord ovest di Corfù fuori dalle rotte marittime abituali. Il paese di Ammo, davanti al quale ci siamo ancorati, non ha un vero e proprio porto ma un semplice molo con un basso pescaggio che permette l'attracco solo a chiatte ed é protetto da una diga di massi. Le barche che qui si fermano, fanno tappa per la traversata senza scendere a terra.

Alle 8 ora locale, siamo avanti un'ora rispetto all'Italia, la barca si comincia a svegliare. Prepariamo la colazione con the caffé, latte, pane burro e marmellata del nonno. Il nonno sarei io che ho dovuto, un mese fa, preparare la marmellata in seguito ad un complotto di mia moglie, che ha fatto in modo di far portare a casa, quando lei era già in vacanza, trenta chili di rusticani, una specie di prugna selvatica.

Una motovedetta della polizia locale punta su di noi. Ha preparato i parabordi fuori dallo scafo e sembra avere tutta l'intenzione di abbordarci per un accurato controllo. "Avete ormeggiato troppo al largo davanti all'entrata del porto!" ci apostrofano prima ancora di avvicinarsi. Francesco spiega che siamo arrivati durante la notte, che la baia era piena e non abbiamo potuto avvicinarci di più. Assicura che, terminata la colazione, partiremo subito. Nonostante i visi minacciosi, i militari accettano la giustificazione e si allontanano.

Si avvicina invece un'altra barca e si ancora proprio davanti a noi. Temiamo che possa intralciare la manovra per la partenza. Il vento ha continuato a soffiare tutta la notte ed é aumentato. La barca ondeggia continuamente e l'acqua ribolle. Cominciamo ad issare l'ancora. Si trova proprio sotto alla barca ancorata da poco, che non si sposta sino a quando non glielo chiede Francesco.

L'interruzione della manovra risulta fatale: l'ancora é nuovamente incagliata. Il capitano si butta di nuovo a nuoto. Il fondale é troppo profondo per raggiungerlo, ma gli basta vedere quale debba essere la direzione da prendere per poter disincagliare la barca.

Spieghiamo le vele come la sera precedente, ora la velocità del vento é salita a trenta nodi, dobbiamo raggiungere Corfù e Francesco non cede il timone: cerca di far sviluppare alla barca la maggiore velocità possibile per arrivare al più presto nella parte dell'isola riparata dal vento. Prendiamo una seconda mano di terzaroli alla randa.

La maggior parte delle manovre si fanno stando comodamente in pozzetto. Brunella scatta prontamente agli ordini del capitano dimostrando un'abnegazione superiore al normale.

Quando siamo vicini alla punta est dell'isola la velocità del vento cala a quindici nodi. Apriamo tutta la velatura e la barca fila di nuovo veloce sulle onde. Poco prima del canale che si forma fra l'isola di Corfù e la costa albanese, Francesco accosta diretto verso una piccola baia riparata.

Ci buttiamo tutti in acqua. Giorgio, mio nipote di quasi quattro anni, munito di pinne, maschera e bracciali non esita un attimo. L'acqua non é fredda e si nuota con facilità. Quando é ora di buttare la pasta nessuno vuole rientrare. Poi dopo molte insistenze alle 16,30 riusciamo a metterci a tavola. Il capitano per lasciarci più spazio si siede al tavolo di carteggio.

Un chilo di maccheroni, condito col ragù che la Betta ha preparato a Rimini, viene fulminato.

Quando ci alziamo da tavola ci accorgiamo che Anna e Giorgio sono di nuovo in acqua e facciamo fatica a persuaderli ad uscire di nuovo per ripartire.

Brunella si prepara per salpare l'ancora. Tutti ostentiamo indifferenza ma siamo preoccupati per la manovra, visti i risultati delle due precedenti occasioni e temiamo che Francesco debba di nuovo tuffarsi. Ma questa volta tutto fila liscio. La barca non si é mossa e l'ancora non ha agganciato nessuno scoglio.

Ma la velocità del vento aumenta ancora e arriva a 40 nodi facendo ricadere sulla barca gli spruzzi delle onde come se fossimo sotto una doccia. Procediamo ancora a motore. Francesco ha inserito il pilota automatico e dopo aver indossato una cerata si é messo in piedi a poppa per avvistare eventuali ostacoli davanti alla barca. Nonostante non ci sia nessuno in mare non distoglie un momento lo sguardo. Non si é dovuto tuffare prima, ma ora il bagno lo sta facendo ugualmente.

La maggior parte di noi si é stesa in cuccetta e sta facendo la sauna. Siamo stati costretti a chiudere tutti i boccaporti per gli spruzzi delle onde ed il caldo non si disperde. Alle 19,30 raggiungiamo la marina. Tutti si precipitano alle docce per dare concretezza al sogno fatto in due giorni di salsedine. Francesco e Brunella la doccia l'hanno fatta alla barca, che non hanno mai abbandonato e non abbandonano nemmeno ora per seguirci al ristorante.

Dobbiamo fare un lungo giro per raggiungere l'uscita della marina. Cerchiamo di farci riconoscere dalla guardia all'uscita per poter rientrare senza difficoltà. Ci addentriamo nel paese lungo una strada chiassosa con ai lati basse costruzioni piene di negozi di ogni genere. Cerchiamo un locale dall'aspetto che ci piaccia. Il cameriere ci invita ad entrare dandoci l'impressione che ci sia un tavolo immediatamente disponibile. Non é così, nell'attesa ci dà un menù illustrato con le foto dei piatti. Silvia pazientemente traduce le descrizioni di ogni foto e quando ci sediamo finalmente al tavolo abbiamo la possibilità di ordinare più velocemente. Alla fine siamo tutti soddisfatti della qualità del cibo e del prezzo (spendiamo 10 euro a testa). Al nostro rientro nella marina ci sono poche persone. Il vento si é calmato ed il silenzio é profondo. All'una di notte ognuno raggiunge la propria cuccetta.

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