Sabato 20 luglio 2002

Le notizie della mattinata sono più rincuoranti. Le previsioni del tempo danno le nubi in dissolvimento, mari calmi tranne il canale d'Otranto che é previsto mosso. In base ai rapporti la prima pattuglia ha occupato la stazione di Lecce, la seconda é in vista di Pescara.

Partiti alle otto, stiamo percorrendo la superstrada Bari, Brindisi Lecce. Rispetto all'ultima volta che sono stato in Puglia, il sistema viario é radicalmente cambiato. Ora ha strade larghe e scorrevoli. La campagna attorno si presenta ben curata. Gli uliveti si alternano a vigneti a pergolato, hanno l'irrigazione e sono protetti dalle reti antigrandine.

Ogni tanto attraversiamo uno scroscio d'acqua: i temporali non sono ancora finiti.

Giunti a Lecce la superstrada finisce assieme alla segnaletica. Ci immettiamo in una rotonda con quattro uscite e non vediamo le indicazioni che cerchiamo: Maglie ed Otranto. Entriamo in un piazzale dove sono parcheggiati degli autobus ed accanto si trovano due autisti. Abbassiamo il finestrino e non abbiamo nemmeno bisogno di chiedere. Ridendo ci danno le indicazioni per proseguire e ci spiegano che i cartelli in quel punto non sono mai stati messi e non siamo i primi a rimanere perplessi.

Alle 10,30 siamo ad Otranto. Il generale Betta chiede rapporti alle pattuglie: La prima é in vista di Bari la seconda é salita sul trenino delle FSE (Ferrovie del Sud Est) diretta a Maglie, lì dovrà cambiare di nuovo treno per giungere ad Otranto.

Cerchiamo il porto e ci mettiamo in contatto con Francesco per vuotare la macchina delle provviste e dei bagagli. Proseguiamo per la stazione dove la prima pattuglia deve giungere alle 11,30. Giungiamo in un piazzale assolato ove si erge una palazzina a tre piani.

Saliamo al primo e sul retro, in mezzo a due rigogliose siepi, arrivano e terminano tre binari. Nessun'anima viva tranne il bigliettaio-capostazione gentilissimo che si mette a chiacchierare con noi. Finalmente il treno arriva. Ho la macchina fotografica in mano e sto per precipitarmi all'esterno per immortalare l'arrivo dei nostri eroi insonni.

Il capostazione mi invita a fotografare con discrezione perché é proibito per motivi di sicurezza, non riesco a capire quali possano essere, certamente non consistono nell'evitare di diffondere l'alta tecnologia dei materiali rotabili.

Torniamo di nuovo al porto per scaricare i bagagli, acquistiamo le ultime provviste e ci accingiamo a visitare il centro del paese. Cerchiamo un ristorante che a prima vista ci piaccia, fra i tanti che si trovano nelle vicinanze. Scegliamo il Corsaro. Il locale ha l'aria condizionata ed un cartello indica che é vietato fumare. La scelta si rivela felice, tutto é buono e preparato all'istante. Ottime le orecchiette alla crudaiola, il pesce spada ed il fritto di calamari e scampi. Alla Betta, che non ama il pesce, viene servita un'ottima scaloppina ai funghi.

Proseguiamo la visita del centro ed entriamo nella cattedrale. Peccato che ci siano in corso dei restauri che occupano buona parte della navata centrale ed impediscono di apprezzare per intero la vista dell'interno del tempio. Curiosa e macabra la cappella di destra dove sono conservati i resti di ottocento martiri cristiani uccisi dai turchi. Le ossa sono composte in tre grandi teche trasparenti poste sulle pareti dietro all'altare. Molto bella la cripta con otto file di colonne.

Appena tornati alla macchina riceviamo il rapporto dell'ultima pattuglia: ha già preso posizione davanti alla barca.

Terminiamo di caricare i bagagli, quindi ognuno prende possesso del proprio posto nella cabina assegnata dal generale Betta. Disfiamo le sacche e le riportiamo sulle macchine per evitare di avere a bordo cose superflue.

Francesco propone di partire appena pronti. Alle 18 lasciamo l'ormeggio. Purtroppo quando la barca é arrivata era l'unico libero e si trovava troppo vicino al molo perpendicolare riservato alla Guardia di Finanza. Probabilmente l'ancora é stata gettata sulla catena di una delle motovedette e il comandante teme che si possa essere impigliata. Puntualmente la previsione si avvera ed il nostro skipper é costretto a fare un bagno fuori programma per liberarla.

Dopo aver issato la vela con una mano di terzaroli e spiegato il genoa per metà della sua superficie, ci mettiamo in rotta alle 18,30. La barca corre a otto nodi spinta da un vento di ventidue, il mare é mosso, come da previsioni. Alte onde raggiungono di traverso la poppa facendoci rollare.

Cominciamo ad impratichirci al timone. Erano anni che non usavo la ruota e, abituato alla barra, faccio fatica a prenderci la mano. Anche Alberto prova mentre gli altri marinai decidono di aspettare momenti meno impegnativi e meno assonnati.

Proprio mentre Alberto é al timone la ruota si indurisce ed il timoniere non riesce più a muoverla. La barca comincia a poggiare e la randa stramba. Il comandante ordina all'equipaggio di scendere sotto coperta temendo che si sia rotto il timone. Poi si accorge che Brunella, passando fra le ruote dei timoni ed i comandi, ha urtato senza avvedersene il bottone che inserisce il pilota automatico. I movimenti che il timoniere cercava di dare alla ruota, non si sincronizzavano con quelli del pilota automatico che era regolato per mare calmo, rendendo la barca ingovernabile. La navigazione torna di nuovo normale ma l'altezza del ginocchio di Brunella risulta incompatibile con quella del bottone del comando, visto che lo preme di nuovo una mezz'ora dopo.

Una splendida luna, quasi piena, si affaccia sul mare lasciando una scia di riflessi argentati, illumina perfettamente la barca e, quando arriviamo sotto costa, Il monte Fanos sull'isola di Othonì, nostra meta, appare chiaramente anche a parecchie miglia di distanza. Arriviamo a mezzanotte e diamo fondo all'ancora in una baia protetta dal vento. Facciamo un brindisi per la conclusione della traversata e poi tutti a letto a ronfare.

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