Giovedì 17 aprile 2003.

Ore 7 sveglia, colazione, valige pronte dentro la stanza alle 8,15 dove gli inservienti passeranno a prelevarle, ed usciamo finalmente dalla nostra infuocata stanza. La finestra non si apre, il riscaldamento non si chiude, la ventilazione del condizionamento é ferma. L'aria é secca e non si respira. Mi sono buscato un forte raffreddore. Speriamo che all'aeroporto non mi mettano in quarantena sospettando un caso di polmonite atipica.

Partiamo per Tallin. Olga ci accompagna sino al confine e per intrattenerci ci narra delle abitudini locali. Quando si é sposati la fede si porta nella mano destra, in quella sinistra quando si é divisi o vedovi. I giovani si sposano presto perché con due figli non si fa il servizio militare di due anni.

Questa notte é piovuto. Il cielo é coperto e pioviggina. Percorsi trenta chilometri torna a spuntare il sole. Il paesaggio non varia: campi e boschi in mezzo ad una vasta pianura. Una serie di dacie che somigliano più a baracche che a case. Ogni tanto ne scorgiamo qualcuna ben tenuta o rifatta in mattoni in mezzo a tante diroccate e semi cadenti.

Arriviamo a Ivangorod. Al di là del fiume e del confine con l'Estonia c'é Narva. I due paesi si sono contrapposti nei secoli e sulle due rive del fiume omonimo sono costruiti due castelli.

Ci avviciniamo pian piano alla frontiera russa. Daniela per sveltire i controlli ha fatto avere 100 euro ai doganieri. Ma la mancia viene rifiutata e dobbiamo scendere dal pullman con cappotti e borse.

I bagagli vengono scaricati e ognuno trascina i propri dentro alla baracca. Avanziamo uno per uno senza che le valige passino sotto la macchina dei raggi x e senza che nessuno chieda di aprirne una. Probabilmente quello che volevano controllare era il pullman.

Dato che ognuno ha preso tutto quello che aveva, gli occupanti delle ultime file mettono in atto una congiura. Senza dare troppo nell'occhio, passati i controlli, si radunano davanti alla porta di uscita, che é rimasta chiusa sino al termine delle operazioni. Escono per primi ed occupano con un colpo di mano i posti delle prime file.

Fatte poche centinaia di metri ed attraversato il fiume che separa le fortezze delle due città, ci fermiamo davanti al controllo Estone. Una dolce fanciulla in divisa sale e ritira tutti i passaporti. Lo sguardo che mi lanciano i due bellissimi occhi é intenso, ma non c'era nessun possibile equivoco era solo il controllo accurato della corrispondenza del viso di ogni occupante con la foto del documento che viene ritirato. Inizia così una nuova lunga attesa.

Tatiana, la nostra nuova guida e suo marito stanno per raggiungerci e ci aspettano oltre la frontiera. Non so dove li metteremo. Due posti dovrebbero esserci, ma sembrano essere spariti: alla partenza inspiegabilmente non riuscivamo a sederci tutti.

Dopo un'ora e mezzo dall'inizio delle operazioni ripartiamo, sono le 11.30 ora locale. Paolo impietosito dello stato miserevole del mio raffreddore mi offre del rhum: "Guarda che i microbi vanno uccisi, non ubriacati!"

Visita al cortile del castello. Sarebbe possibile entrare per pochi minuti all'interno, ma si deve pagare un biglietto rigorosamente in corone estoni e non abbiamo ancora cambiato. Ci dirigiamo a piedi al ristorante King. Sbroda con carne, panna acida e verdure, salmone al cartoccio, patate lesse e rape. Frutta mista tagliata a bastoncini con panna e caffé. Saliamo di nuovo in pullman. Dobbiamo ancora percorrere 220 chilometri dei 380 che separano San Pietroburgo da Tallin.

Tatiana parla a mitraglia, quasi senza fare pause per respirare e, anche se parla bene l'italiano, facciamo fatica a seguirla. I boschi si susseguono sempre uguali mentre i campi sono sempre più grandi. Sono sparite le dacie e qua e là si vedono costruzioni che assomigliano a case coloniche. Arrivati alla periferia della città, che é stata bombardata durante la guerra ed ha subito distruzioni per il 40%, vediamo grandi costruzioni che servivano per le truppe sovietiche e grossi capannoni di fabbriche in abbandono. Tatiana afferma che l'economia é in grande sviluppo e presto ogni cosa verrà ricostruita.

Il nostro albergo si trova in centro. Arriveremo alle cinque locali dopo nove ore di viaggio. Daniela propone di andare in un centro commerciale per fare acquisti di tovagliato ma scopriamo che é già chiuso. Si ripiega per una passeggiata di presa di conoscenza del centro della città. Sono febbricitante e rinuncio a seguire il gruppo.

Alle 20 scendiamo per la cena. Il Grand Hotel Tallin é un albergo moderno e confortevole. Nell'atrio spicca un bel caminetto a gas. La sala da pranzo é bella e ben apparecchiata con tavoli rotondi di diverse misure. Uno stuolo di belle ragazze ci accoglie e ci versa da bere acqua con ghiaccio e fette di limone, il cocktail che da ragazzi squattrinati chiamavamo: siberiana liscia.

La cena comincia con una vellutata di patate e formaggio, insaporita con pancetta di maiale. Segue dell'arrosto di agnello con patate lesse messe arrosto e broccoli. Una fetta di torta al cioccolato accompagnata con frutta esotica.

Daniela ha organizzato gli auguri per una delle ragazze del gruppo che oggi compie ottantadue anni. Solito tè o caffè per finite.

Mi riempio di novalgina e torno a letto appena terminata la cena: domani devo essere guarito.

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