| Venerdì 5 marzo 2004    Un messaggio in una lingua incomprensibile ci avverte di allacciare le cinture perché l’aereo sta per atterrare. Io e mia moglie Elisabetta siamo partiti da Bologna,
  con la neve ai bordi delle strade ed una temperatura attorno allo zero, alle
  sette del mattino. Decollati da Roma, stiamo per atterrare a Kuwait City dopo
  quattro ore di volo e sono le venti e trenta locali. La sensazione è quella
  di essere arrivati, ma stiamo per fare solo uno scalo tecnico per cambiare
  aereo: la nostra meta è Madràs (ora di nuovo Chennai) capitale dello stato
  del Tamil Nadu nel sud dell’India. Facciamo parte di un gruppo composto da trentadue
  persone. Sull’aereo della Kuwait Airways il servizio è
  stato buono e davanti ad ogni posto a sedere è disponibile un piccolo
  monitor. E’ possibile selezionare vari programmi e controllare i dati di
  volo: posizione geografica del velivolo, altitudine, velocità, tempo
  trascorso dal decollo e direzione della Mecca. Infatti ogni tanto compare la
  sagoma di un aereo con una freccia che parte dal centro e davanti alla punta
  un simbolo che rappresenta la Ka’aba. L’importanza della religione nella vita di un popolo si vede dai particolari, anche se non abbiamo visto nessuno dispiegare il tappetino e fare le preghiere rituali volgendosi verso la direzione della freccia. | 
| Scendiamo dall’aereo e compatti invadiamo la hall.
  Ci accingiamo a fare la fila per ritirare le carte di imbarco ma la nostra
  accompagnatrice Roberta richiama l’attenzione di tutti: “Le carte di imbarco
  sono già al gate!”. Ci presentiamo ai controlli dei bagagli e cominciamo ad
  entrare. Nel bel mezzo dell’operazione arriva un contrordine: “Le carte di
  imbarco sono al check-in”. Afferriamo i nostri bagagli a mano e con questi
  ritorniamo indietro facendo scattare gli allarmi del metal detector davanti
  allo sbigottimento degli addetti ai controlli. Probabilmente si tratta di un’esercitazione per
  saggiare la compattezza del gruppo e farci sgranchire le gambe rattrappite
  dall’immobilità. Un’ora di attesa e dopo il decollo un ingrato
  compito aspetta il turista: la compilazione della carta di ingresso. Dobbiamo
  ricopiare su un foglio in duplice copia una serie di dati, fra questi c’è
  anche uno spazio con la voce visa.  “Ma vogliono sapere anche il numero della carta di
  credito?” Domando, colto da un lampo di genio, mentre Paolo mi rassicura: “No, devi scrivere il numero del visto.”  Sta per arrivare
  la cena preannunciata da un forte e poco appetitoso odore di spezie. Tento di
  scoprire se è possibile avere un piatto diverso dal chicken, senza risultato.
  Il riso che l’accompagna è piccantissimo e, mangiati incautamente i cetrioli,
  continuo a sentirne in bocca il sapore 
  per più di un’ora. Atterreremo all’una italiana. A Madràs saranno le
  cinque e mezza del mattino. Non riusciamo a dare le mance che chiedono gli
  inservienti che ci hanno portato i carrelli e non accettano le nostre monete.
  Ci rendiamo conto di dover cambiare subito i nostri soldi in rupie. Davanti
  ai cancelli d’ingresso staziona una piccola folla variopinta, nonostante non
  sia ancora l’alba. Probabilmente arriveremo in albergo giusto in tempo per
  fare colazione. Saliamo su
  un pullman sgangherato che arranca emettendo un sinistro rumore di ferraglie.
  Alle sette arriviamo all’albergo Ci fanno accomodare per la colazione. Il
  nostro stomaco viene sottoposto ad uno stress particolare. Quello che ci
  viene offerto è più uno spuntino di mezzanotte che una colazione, visto
  l’orario a cui è abituato il nostro corpo. Stanchi ed assonnati inganniamo l’attesa al bordo della piscina. Si prevede che le camere saranno disponibili per le nove. Con mezz’ora di ritardo finalmente tutti in stanza per un breve riposo. L’avventura inizia alle 13. L’appuntamento è nella hall. |