| Domenica 6 marzo 2005Anche
  questa notte il sonno é poco e disturbato dal rumore dell’infernale aggeggio
  che dovrebbe condizionare l’aria dell’ambiente. Alle
  sette siamo giù dal letto. Il sole sta per sorgere ed assistiamo all’alba dal
  terrazzo della nostra stanza. Dopo
  aver fatto colazione cerchiamo di far entrare ogni cosa nelle valige. Paolo e
  Simonetta hanno deciso di fare la sauna, Betta si prepara a scendere in
  piscina. Penso che farò un giro attorno all’albergo. Sceso
  nella hall trovo Daniela con il gruppo che ha deciso di visitare il Parque
  des aves For Tropicana. Stanno partendo con un pulmino. C’é un posto libero e
  così all’ultimo momento mi aggrego. Il
  parco si trova di fianco all’eliporto in mezzo ad uno scenario verde con un
  percorso studiato per i visitatori. Per
  passare da una sezione all’altra ci sono doppie porte che impediscono agli
  animali di uscire. Altri uccelli sono rinchiusi nelle gabbie con reti così
  fitte da impedire di scattare una foto, altri sono nelle voliere grandi dove
  é possibile ammirarli senza una barriera. Fanno un po’ pena così rinchiusi.
  Molti di loro sono nati in cattività e liberi troverebbero un ambiente non
  più adatto alle loro abitudini. Gli
  uccelli che più attirano la nostra curiosità sono i tucani e i pappagalli ed
  é molto bella la voliera con le farfalle e i colibrì. Alla
  fine del percorso una ragazza offre di far posare sulla spalla un pappagallo
  per una foto ricordo. Mario accetta, ma sembra un po’ titubante. La bestia,
  che ha un becco robusto come una tenaglia, si avvicina sempre più agli
  occhiali che sono appesi al collo. Mario se ne accorge e temendo che voglia
  spezzarli li sposta. L’uccello afferra il bottone della maglietta e lo stacca
  sollevando l’ilarità dei presenti. Torniamo
  in albergo. Ormai é l’ora di partire. Alle 12, tutti in pullman. Un giro
  veloce per il centro della città che ha avuto negli ultimi anni un forte
  sviluppo per il flusso turistico. Pupo
  ci fa notare il sistema semaforico. I proiettori non sono a tre colori ma a
  due e sia il verde sia il rosso hanno cinque luci disposte in due file
  verticali. Appena il semaforo passa da un colore all’altro si accendono due
  luci quella più in basso e quella più in alto. Man mano che il tempo passa,
  ad intervalli regolari si spegne la luce più in alto e si accende quella
  immediatamente sotto. Con questo sistema l’automobilista che sta
  sopraggiungendo può regolare la propria velocità per evitare, specialmente di
  notte, di doversi fermare ai semafori: deve proprio essere un posticino
  tranquillo! Passata
  la frontiera tappa obbligata all’Artesanato três fronteiras. Qui possiamo
  spendere i nostri ultimi soldi. Siamo guardati a vista da una serie di
  commesse ed i prezzi del negozio non ci sembrano particolarmente a buon
  mercato. Alle
  due si riparte per l’aeroporto. Consegniamo i bagagli e ci fermiamo in un bar
  ristorante al piano superiore per mangiare qualche cosa. Alle
  16,30 parte il nostro settimo volo ed alla fine atterriamo all’aeroporto di
  Buenos Aires. Mario, per non essere di meno della moglie Anna, che pochi
  giorni fa é caduta sulla scaletta del pullman, scivola su quella dell’aereo.
  Per fortuna solo escoriazioni. Viene fasciato e incerottato persino negli
  occhiali che si sono rotti nel volo. Patrizia ci é
  venuta a prendere, ci accompagna all’aeroporto internazionale e assieme a
  Daniela ci saluta. Sono le venti e dobbiamo aspettare sino alla partenza del
  volo intercontinentale che é prevista per le 23,30. Cerchiamo di ingannare le
  ore di attesa. Molti sono impazienti di imbarcarsi e alle 22,15 cominciamo a
  fare la fila davanti alla porta di imbarco che non si apre mai. Finalmente
  l’altoparlante annuncia che la temperatura all’interno dell’aeromobile é
  molto alta. Stanno cercando di risolvere l’inconveniente e l’imbarco é
  rimandato. Passano
  dieci minuti poi vengono chiamati i passeggeri cominciando dalle file
  posteriori. Due terzi delle persone in attesa sono dentro all’aereo quando
  l’operazione si blocca. Non vengono chiamate altre file. Passano dieci minuti
  e l’aereo viene vuotato. Chi é salito scende con la faccia stravolta: “che
  caldo!” La
  sala d’attesa comincia a sembrare un dormitorio. Lo spazio a disposizione
  davanti al gate é troppo piccolo per quattrocento persone. Molti si stendono
  a terra appoggiandosi ai bagagli. Chi é salito racconta che o funzionava
  l’aria condizionata o le luci. Sembra che l’inconveniente sia causato dal
  malfunzionamento di un generatore a terra. Solo dopo un’ora arriva un
  trattorino con un nuovo generatore a rimorchio. Lo collegano all’aereo. Uno
  sbuffo nero dallo scarico rivela la partenza del motore e dopo pochi secondi
  le luci dell’apparecchio si riaccendono. Ma con tutti i generatori che
  dovrebbero avere, con l’aereo fermo sulla pista da varie ore, ci dovevano
  mettere tanto? Dopo
  mezz’ora ricominciano le operazioni d’imbarco. Siamo gli ultimi a salire e
  fatichiamo a sistemare i bagagli. Ne troviamo dappertutto anche sotto i
  nostri piedi. Con qualche protesta riusciamo a conquistare il nostro spazio
  vitale. Partiamo
  con due ore di ritardo e così addio alla coincidenza del volo per Bologna.
  Dopo un’ora di volo, quando ormai siamo tutti addormentati, ci servono la
  cena.    Lunedì 7 marzo 2005Al
  mattino, quando a Buenos Aires sono le dieci, ci costringono a tenere chiusi
  i finestrini per lasciare la carlinga al buio e di colazione non se ne parla
  nemmeno. Sembra
  che ci servano direttamente il pranzo. Invece alle 12, ora di partenza, ci
  servono proprio la colazione. Alle
  17,30, ora di Roma, atterraggio. Il volo é stato perfetto, l’aereo ha ballato
  un poco ed ha impiegato meno di 12 ore per terminare il viaggio. Recuperati i
  bagagli cerchiamo di cambiare i biglietti per il volo per Bologna ma invano. Fra
  l’Alitalia e l’Aerlines Argentines non c’e accordo e così il biglietto é
  perso. Il
  viaggio é stato molto bello, abbiamo visto una natura splendida e difficile
  da descrivere per le sue eccezionalità. Non abbiamo avuto molte occasioni per
  conoscere l’Argentina e il suo popolo.  Molto
  spesso, girando per le strade, chi ci sentiva parlare ci ha chiesto di quale
  città dell’Italia eravamo. Abbiamo scoperto un discreto numero di persone con
  antenati di origine italiana, prevalentemente del sud, che non hanno mai
  visto l’Italia, lontana sia geograficamente sia economicamente. Il loro
  sorriso mostrava la felicità di aver stabilito per un attimo un contatto con
  persone che avevano con loro qualche cosa in comune. Ora
  alle ventuno locali siamo in treno diretti a Bologna.  Siamo
  contenti ma stanchi, dopo più di quaranta ore di volo, in otto tappe, per un
  totale di oltre trentamila chilometri.  Daniela
  sostiene che per fare l’accompagnatore ci vuole un fisico di ferro, e per
  fare il turista no?....   |