Yemen

Le mille.... e sei notti e mezzo

Torna al menù iniziale

 

 

 

 

Sabato 8 aprile 2000

"Signore e signori stiamo per entrare nella stazione di Roma, il treno viaggia in perfetto orario". Chi dà l’annuncio sul treno che abbiamo preso a Bologna parla con un tono soddisfatto, ma non immagina quanto siamo soddisfatti noi.

Betta ed io siamo partiti alle 8,50 da Bologna diretti a San’a per un giro turistico nello Yemen. Non abbiamo trovato nessun amico che ci accompagnasse. Molti non avevano tempo disponibile, ma la maggior parte era impressionata per le notizie di rapimenti di turisti che la stampa ha riportato negli anni passati.

Lo Yemen del nord e quello del sud si sono riuniti da pochi anni. Il 22 maggio 1990 è stata proclamata la Repubblica dello Yemen. Ma le discordie sono iniziate poco dopo. Il 4 maggio 1994 è scoppiata la guerra civile terminata il 7 luglio 1995 con la caduta di Aden, che era la capitale dello Yemen del sud, dopo un assedio di più di due mesi. Oggi ognuna delle oltre 150 tribù presenti nel paese controlla il proprio territorio. In passato il rapimento di turisti è stato utilizzato per le rivendicazioni interne.

Solo da due giorni siamo stati avvertiti che l’appuntamento per la partenza è stato anticipato di un’ora. Le prenotazioni per il treno per raggiungere Roma erano già state fatte e non abbiamo più margine per eventuali ritardi.

Scendiamo dal treno, cerchiamo un carrello per le valige, senza fortuna: la scelta di prendere due valige con ruote si rivela felice, dobbiamo raggiungere il binario 27 da dove parte la navetta per Fiumicino. I numeri dei binari si susseguono, 22, 23, 24... e sono finiti! Gli altri si trovano fuori della pensilina in un diverso piazzale. Per arrivarci dobbiamo percorrere tutto il marciapiede dell’ultimo binario. Il prossimo treno parte alle 11,51, siamo arrivati in stazione alle, 11,30 abbiamo impiegato 15 minuti per compiere di buona lena il tragitto.

Il treno parte puntuale ma poi comincia a fermarsi più volte, l’ultima sosta di quindici minuti la effettua in vista dell’aeroporto, così riusciamo ad arrivare con un leggero ritardo.

L’appuntamento con l’accompagnatrice è al terminal C, la sala è molto grande, dove sarà la signora Margot D’Aprà? Cerchiamo il punto del check-in per San’a. Riconosco il viso conosciuto di Andrea, un amico del sindacato. Chiedo a lui dove sia l’accompagnatrice e finalmente la troviamo: non ha un segno distintivo, un cartello, niente. Sta cominciando la selezione dei turisti: chi riesce a trovarla parte, gli altri no.

L’aereo è un Boeing 747 della Yemenia, è pieno. Si parte alle 15. Appena l’aereo è decollato, ci viene servita la cena. Ma come, non è neanche l’ora per una merenda! Il cibo è abbondante ma dopo un panino ed una pizza presi poco prima dell’imbarco l’appetito manca. Sui voli internazionali i pasti vengono serviti a qualunque ora, si parte e... si mangia, senza tenere in alcun conto quello che possono aver fatto prima i passeggeri.

Ci viene rifilata una scheda da compilare per l’ingresso nel paese. La guardo: le scritte sono tutte in arabo. Giro la scheda e, per gentile concessione del Ministero degli interni dello Yemen dalla parte opposta il questionario è scritto in lingua inglese.

Mi aiuto con il passaporto, che riporta tutte le traduzioni, per capire il significato delle singole voci. Oltre al nome di ciascuno viene chiesto il nome del padre e del nonno. E se fossi un trovatello, cosa succederebbe? Dovrei inventarmi degli antenati per poter uscire dall’aeroporto?

Atterriamo dopo quasi cinque ore di volo e aver percorso più di 4300 chilometri.

Ci prepariamo a fare la fila per il controllo dei passaporti. Ci sono quattro sportelli e ad ognuno due inservienti (fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio). Il controllo è lento e sembra minuzioso. Quando è il mio turno mi rendo conto che sono ben attrezzati: un lettore ottico legge, direttamente dal passaporto, i dati che vengono visualizzati in arabo sullo schermo che è di fronte all’operatore.

Nella destra della sala ci sono i bagni, qualcuno entra e lascia la porta aperta. Dopo poco le file sul lato sinistro si allungano, la maggior parte di noi cerca di sfuggire ad un odore nauseabondo che ritroveremo più volte nei bagni pubblici dello Yemen.

Il tour operator locale la Future Tours Industries provvede a far recuperare i nostri bagagli da alcuni inservienti.

Gli uomini vestono con il costume locale composto da un drappo avvolto sui fianchi trattenuto da una larga cintura decorata a cui è appesa sul davanti la jambiah, un pugnale con il manico di corno (i più pregiati hanno il manico di corno di rinoceronte ornato con oro ed argento ed una lama d’acciaio), infilato in un fodero ricurvo.

Saliamo su tre pulmini. Le valige vengono caricate in parte sul tetto, in parte ammassate nei posti dietro l’autista. Margot ci spiega che quando andremo negli alberghi fuori San’a utilizzeremo gli stessi mezzi e non c’è posto per le grosse valige rigide. Dovremo selezionare il bagaglio prendendo il minimo indispensabile. Per portarlo dovremo utilizzare le borse che ci sono state spedite. Per caso ne abbiamo presa una, potevano spiegarlo nel depliant che ci hanno spedito!

L’albergo è bello e le camere confortevoli, sono dotate di un televisore che può ricevere i programmi trasmessi da satellite. Si vede anche Rai International. A parte i notiziari che riusciamo a vedere poche volte, vengono trasmessi per lo più vecchi filmati in bianco e nero e repliche.

Usciamo per fare due passi. Lungo le strade circolano pochi sgangherati camioncini Toyota e solo uomini. Fatte poche centinaia di metri torniamo in albergo. Come benvenuto troviamo in camera della frutta, possiamo così rinforzare la cena delle quattro e coricarci. Riusciamo a prendere sonno ma mai profondamente, la mattina successiva abbiamo la sensazione di essere sempre stati svegli. Alle cinque il muezzin chiama i fedeli alla preghiera servendosi di potenti altoparlanti; continua per un quarto d’ora la cantilena con il risultato di svegliare, se non tutta la città, tutto l’albergo.

 Torna all'inizio della giornata