Yemen

Le mille.... e sei notti e mezzo

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Mercoledì 12 aprile 2000

Alle sei sveglia. Bene o male la notte è passata. Abbiamo tenuto sempre la finestra aperta e solo alle due abbiamo spento il ventilatore.

Scendiamo per fare colazione. Sui tavoli i camerieri hanno messo dei thermos con acqua calda, del pane, le bustine del the e il caffè liofilizzato. Quando ognuno si siede, il cameriere porta un uovo sodo, un formaggino, un poco di burro e della marmellata rossa non confezionata. Non capiamo di che cosa sia fatta la marmellata: o è di cipolla o è stata raccolta dal barattolo con un coltello che era servito al cuoco per affettare le cipolle.

Alle sette partenza: visitiamo una delle tre moschee di Ta'izz, che non é più adibita al culto, così possiamo vederne l'interno.

La moschea è sede della scuola coranica e decine di bambini sono in fila in attesa di entrare. Sotto la guida di un maestro fanno un poco di ginnastica e rispondono in coro ai suoi inviti. Nelle sale a fianco della moschea sono state ricavate le aule e lì i bimbi imparano a leggere e a recitare il Corano. Non siamo riusciti a capire dalle nostre due guide Ahmed e Hussein se nella scuola insegnino altre materie perchè le versioni che ci hanno dato sono risultate contrastanti. Pensiamo che quello dei due che ci ha risposto si, lo abbia fatto per compiacerci.

 

A fianco della facciata sono poste due torri gemelle e davanti all'accesso alla moschea si trova un corrodoio lungo e stretto. L'interno è piccolo ma di belle proporzioni, è diviso in cinque parti, una centrale sovrastata da una cupola, le altre laterali sono divise da un pilastro e sono coperte da cupole più piccole. L'interno è decorato con versi del corano. Le finestre poste di fronte all'entrata si aprono sulla città che è in basso ed offrono un panorama splendido. La sala è ricoperta di tappeti. Non ci è consentito entrare e possiamo solo affacciarci sulla porta due alla volta.

 

Saliamo lungo una strada ripida e tortuosa tutta asfaltata al monte della pazienza, solo per godere del panorama dall'alto della città. Vista da quassù appare splendida mentre da vicino la situazione cambia. Non esiste un piano regolatore ed ognuno costruisce come vuole. Inizia dal piano terreno dove sono situati i negozi chiusi da portoni in ferro a quattro ante dipinti di azzurro. Qualche volta viene costruito anche il primo piano ed in genere la costruzione finisce con i ferri dei piloni in cemento armato che si protendono verso il cielo. Le case nuove che sono state fatte da un'impresa che si è avvalsa di un progettista, sono di due o tre piani. Il gusto locale ha conservato nelle costruzioni un semicerchio sopra le finestre che viene tamponato con caratteristiche decorazioni in gesso e vetro colorato.

Visitiamo la casa dell'Iman che oggi è un museo nazionale. Conserva tutto quello che è stato trovato nel palazzo alla destituzione e decapitazione dell'Iman, avvenuta nel 1962, a testimonaianza di uno sfarzo smodato. Oggi molti degli oggetti raccolti ci fanno sorridere e non capiamo quanto di ciò che è esposto sia stato acquistato e quanto sia stato donato da delegazioni straniere in visita. Nel secondo caso la collezione sparisce di fronte a quelle di monarchi di altri stati e finisce per essere un’ulteriore testimonianza dell'isolamento di questo popolo negli ultimi secoli.

Queste terre quando erano percorse dalle carovane avevano una ricchezza ed una cultura che è stata testimoniata anche da altri popoli. Ora sembrano non avere particolari tradizioni cultuturali. Probabilmente la ricerca dello stretto necessario li appaga perchè tranne pochi casi non abbiamo notato visi afflitti o sofferenti ed ognuno sembra essere soddisfatto della propria condizione.

Nel rivendicare la propria libertà affermano di voler fare ciò che vogliono: pagare poche tasse e poter portare le armi. In compenso vivono in un regime paramilitare che pone continui posti di blocco ed hanno costuni che tengono le donne in estrema soggezione. Queste debbono essere sempre velate in pubblico. Il marito può divorziare con estrema facilità. Una donna divorziata difficilmente trova chi la sposa di nuovo. I lavori più pesanti sono affidati alle donne.

Ci prepariamo a lasciare i 1400 metri di Ta'izz ed alle 10 usciamo dalla città. Scendiamo lungo una valle scoscesa. Banani, piante di granoturco e palme da dattero si trovano lungo il greto del wadi (letto del torrente) normalmente secco in superficie.

Sbuchiamo sulla Tihama, la pianura che si trova fra il mare e le montagne e cominciamo a percorrerla diretti a nord. Pochi arbusti e cespugli la ricoprono.

Gli abitanti vivono in costruzioni con il tetto di paglia a forma di cono raggruppate in un cortile recintato. Ci fermiamo a fotografarne una dalla strada. Subito sbucano decine di bambini seminudi che ci chiedono delle penne. Lascio loro l'unica matita che ho e chiuso nel mio pullman con aria condizionata mentre fuori all'aperto la temperatura è torrida mi sento un marziano.

Non vediamo altre costruzioni se non fatte utilizzando canne e paglia per il tetto a forma di cono. Evidentemente di tratta di una forma sperimentata nei secoli che probabilmente ripara meglio ed in modo naturale gli occupanti dalla torrida calura.

Lungo la strada vediamo degli alveari ricavati in tronchi d'albero cavi accatastati a fianco di alcune capanne. Al nostro passaggio gli occupanti offrono di vendere il loro prodotto tenendo ben alta una bottiglia di plastica di acqua minerale piena di miele.

Meno frequenti, ma anche qui i posti di blocco si susseguono. Mohamed con il fuoristrada ci precede e ci spiana la strada così passiamo ogni volta velocemente.

Alle 12 arriviamo all'albergo che ci ospiterà per il pranzo a Khawkha. La località si trova sul mare e per raggiungerla abbiamo lasciato la strada principale e percorso una ventina di chilometri in direzione ovest. Per chi vuole è possibile fare il bagno nel mar rosso. Ci cambiamo e cerchiamo di raggiungere la spiaggia ma davanti all'albergo c'è solo una melmosa laguna. Dobbiamo prendere le barche ma non le vediamo. Facciamo trecento metri a piedi sotto il sole e riusciamo a trovarle. Una è un barcone da pesca l'altra un vecchio fuoribordo in vetroresina ormai a pezzi. Saliamo a bordo ed il marinaio cerca di mettere in moto. Dopo una ventina di tentativi non c'è ancora riuscito. La manopola del gas del fuoribordo non sta ferma nella posizione di avviamento ed ogni volta che il motore parte non fa a tempo ad agguantarla abbastanza in fretta per tenere il motore in moto. Riempie di nuovo il carburatore di benzina con la pompa a mano e notiamo il serbatoio: una tanica di plastica appesa al bordo della barca con il tappo forato per far entrare il tubo di pescaggio. Qui la capitaneria di porto non c'è e nemmeno i controlli sulla sicurezza. Per fortuna Margot ci ha avvertito che non andremo al largo ma solo alla prima secca senza allontanarci dalla riva e l'acqua non sarà mai tanto profonda da non poter toccare.

Finalmente il motore parte e continua a girare ma la barca non avanza. Il marinaio spegne il motore, controlla e si consulta col più anziano che era a prua a manovrare l'ancora. Adesso il secondo sfila l'elica e la prende in mano. Andiamo bene! Si è rotta la coppiglia che fissa l'elica al perno del motore. Dal gavone spunta un porta attrezzi d'epoca dove c'è una nuova coppiglia e per fissarla prende un martello che doveva appartenere al bisnonno ciabattino.

Finalmente ripartiamo ed usciamo dalla laguna che ha un fondo melmoso. Ci portano appena fuori su un banco di sabbia. L'acqua è calda ed il bagno è piacevolissimo. Sul fondo abbondano dei molluschi con una conchiglia a chiocciola che ci divertiamo a raccogliere. Una volta usciti dall'acqua mi domando come poter liberare le conchiglie dal mollusco. Mi risolvono il problema quattro vocianti mocciosi che ci corrono incontro e ci offrono di acquistare le stesse conchiglie già pulite. Ne compro due così posso ributtare in mare quelle pescate. I quattro ragazzini non mollano la preda e dopo aver tentato di fare affari con gli altri del gruppo ci offrono altre conchiglie più piccole in cambio di caramelle. Andiamo di corsa a cambiarci, sono ormai le due e chi non è venuto a fare il bagno non ha saputo aspettare, si è seduto a tavola ed ha già cominciato. Meglio, il servizio sarà così più rapido per tutti. Il menù è sempre uguale ed ora comincia a piacerci meno. Alle tre e mezzo ripartiamo diretti a Zabid dove arriviamo alle cinque.

Visitiamo il forte turco con annessa la moschea che guardiamo dall'esterno, poi ci inoltriamo nelle viuzze del paese per vedere le due case dove Pier Paolo Pasolini ha dimorato. Possiamo vedere l'interno solo della prima. Sembra un circolo ricreativo: si tratta di un unico ambiente, sui suoi lati sono disposti degli alti scranni dove stanno accovacciati degli uomini a fumare, masticare e guardare un televisore che è acceso in un angolo. Non si scompongono per il nostro arrivo, continuano imperterriti a fumare e a masticare facendo finta di nulla

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Sono molti i bambini che incontriamo, i più grandicelli si uniscono a noi, ci chiedono il nostro nome, ci salutano ci stringono la mano e ci accompagnano per tutto il tragitto offrendoci rametti di basilico e fiori. Gli diamo in cambio delle caramelle, qualcuno compra per loro un pallone.

Ognuno viene adottato da un bambino che lo guida attraverso i vicoli del villaggio. Le case sono costruite con mattoni cotti al forno fatti con un impasto poco lavorato pieno di scorie.

Giunto sul pullman offro ad uno di loro che mi segue insistentemente una penna biro, la prende controlla che scriva passando la punta sul dorso della mano poi mi sorride soddisfatto.

E' difficile passare rimanendo indifferenti per le strade del paese e ognuno cerca di farlo nel modo più discreto possibile cercando di non ferire nessuno anche se ci rendiamo conto che non è facile. Per loro rappresentiamo un mondo completamente diverso che ha tutto a disposizione e forse non sa apprezzarlo mentre qui anche una sola penna biro può diventare un momento di felicità.

Alle 19,30 arriviamo all'albergo che è posto sul mare. Nonostante sia già buio il caldo è ancora molto forte e, calato il vento, diventa insopportabile. Appuntamento per la cena alle 20,45.

Tutti puntuali tranne una signora che è rimasta a metà doccia insaponata senz'acqua. Non è la sola ad aver avuto problemi con l'acqua ad altri è successo di rimanere senza. L'impiantistica locale è curiosa, il numero degli interrutori elettrici è sproporzionato alla quantità massima di luce che si può ottenere nelle stanze. Sul lavandino c'è solamente un rubinetto mentre a fianco della doccia ci sono due rubinetti posti su due diverse pareti ad angolo ed il secondo è contrassegnato da un cerchietto rosso.

La cena è quasi uguale al pranzo del primo giorno, stesso pesce cotto in un forno a forma di tronco di cono.

Per chi la vuole viene servita della birra alcolica olandese che Mohamed ha comperato lungo la strada in un villaggio che pratica il contrabbando. Ci viene servita con l'etichetta coperta da un tovagliolino, per nasconderla agli avventori locali presenti nel locale, che ha una sala sola.

Rientriamo in albergo, davanti all'entrata c'è una guardia con un mitra a tracolla. Questa visione ed il caldo opprimente ci dissuadono dal fare una passeggiata

Ritornati in camera manca l’acqua. Viene un inserviente; ci spiega che il rubinetto che sembrava quello dell’acqua calda è invece il rubinetto generale di tutto il bagno. Fatta la doccia lo abbiamo chiuso senza capire a che cosa veramente servisse, ma non siamo stati i soli a cadere nell’equivoco.

Non è possibile dormire senza il condizionatore in funzione che, anche con la ventilazione al minimo, fa un rumore simile a quello di un asciugacapelli.

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