Yemen

Le mille.... e sei notti e mezzo

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Lunedì 10 aprile 2000

Sveglia alle sette. Ieri sera abbiamo commesso un errore: abbiamo aperto la finestra per cambiare l’aria per pochi minuti. Una zanzara è entrata ed abbiamo passato due ore della notte a darle la caccia. La sveglia ci sorprende profondamente addormentati

Giunti in aeroporto, ci siamo precipitati a cambiare i dollari che avevamo portato nella moneta locale il rials. Che è l’unico cambio possibile. Nessuno cambierebbe lire italiane. Per 10 dollari abbiamo ottenuto 1500 rials. Lo stesso risultato lo avremmo ottenuto chiedendo di cambiare valuta a Mohamed che gira con una valigetta rigida piena di banconote e che espleta il servizio bancario per tutti i componenti del gruppo.

Il conto delle pecorelle disperse impegna Margot per un buon quarto d’ora, poi alle 8,30 finalmente si parte. Usciamo dalla città diretti verso nord est.

Ogni pullman è dotato di un grosso contenitore termoisolato per conservare l’acqua minerale fresca che è sempre a nostra disposizione.

Fatti pochi chilometri ci dobbiamo fermare al posto di blocco nell'attesa della scorta armata. La strada che percorreremo è la via del petrolio e deve essere costantemente controllata. La zona che raggiungeremo Ma’rib, dove inizia il deserto denominato il quarto vuoto, è la più pericolosa per la presenza di tribù locali ostili. Quando i loro componenti vogliono venire in città debbono lasciare qui le armi che saranno restituite al loro ritorno. La situazione somiglia tanto a quella dei film americani del far west!

I posti di blocco servono anche come posti daziari per far pagare le tasse.

Ripartiamo dopo mezzora e ogni dieci chilometri i posti di blocco si susseguono uno dopo l’altro. Una cunetta di terra pressata attraversa la strada ed i mezzi sono costretti a transitare a passo d’uomo. Due grosse pietre segnalano la presenza del dosso ed è l’unico tipo di segnaletica che vediamo. Anche all’ingresso d’ogni abitato è posto lo stesso sistema come un efficace limite di velocità per i veicoli che percorrono la strada.

Ci fermiamo ad un agglomerato di baracche ove si trova un lurido posto di ristoro con pochi negozi attorno e un’officina. La presenza umana si annuncia a distanza perché prima di vedere le baracche notiamo numerosi sacchetti e bottiglie di plastica disseminati per terra.

Noto che i pullman fermi sono solo due, dopo pochi minuti Margot ci invita a togliere i nostri bagagli dal pullman perché questo deve andare a recuperare gli occupanti del terzo che si è fermato per un guasto.

Aspettiamo seduti al misero posto di ristoro un’altra mezz’ora poi i pullman arrivano tutti e due. Sono riusciti ad aggiustare quello rotto. Un uomo stringe in mano un fusibile e discute con l’autista del mezzo.

Ora il paesaggio cambia continuamente. Appena partiti a fianco della strada c’erano dei vigneti (l’uva prodotta serve solo per consumarla fresca o per farne uva passita perché l’uso delle bevande alcoliche è proibito dal Corano). Poi superata la catena montuosa che delimita l’altopiano, siamo scesi attraverso una valle con alte pareti di roccia, alla fine della quale si apre la pianura che degrada verso Ma’rib dove comincia il deserto. Allo sbocco della valle la vegetazione riprende. In mezzo agli arbusti brucano capre, asini e dromedari.

Ci fermiamo ad un nuovo posto di blocco per cambiare le guardie che ci accompagnano. Ora il loro numero è raddoppiato: da quattro sono diventate otto.

Mohamed precede i tre pullman con un fuoristrada che oggi serve per trasportare la guardia armata. Anche al successivo posto di blocco che incontriamo è aumentato l’armamento: c’è sempre una mitragliatrice pesante montata su di una camionetta e un mezzo corazzato.

Lungo tutta la pianura dopo il secondo posto di blocco abbiamo visto mulinelli di vento, ptovocati dall’aumento della temperatura del suolo scaldato dal sole, alzare vere e proprie colonne di polvere così alte da sembrare delle trombe d’aria. Ne abbiamo contate persino cinque contemporaneamente.

Arriviamo a Ma’rib alle 13,30 con un’ora e mezzo di ritardo sul previsto. Cominciamo a visitare il tempio del dio della Luna che è recintato con reticolati. Sono in corso degli scavi da parte di archeologi tedeschi e non si può entrare. Giriamo tutt’intorno al perimetro per vedere i ruderi.

Il terzo pullman ha avuto una nuova rottura: si è strappata la cinghia che collega il compressore del condizionamento al motore e gli occupanti hanno fatto tutto il viaggio con l’aria condizionata spenta. Non hanno potuto aprire i finestrini perché il vento faceva alzare la sabbia che entrava dai finestrini. Se si aggiunge il fatto che non sono potuti scendere quando il mezzo era in panne perché la zona era pericolosa il loro viaggio non è stato per nulla confortevole. Al loro arrivo Margot è entrata nel pullman ed ha domandato: "Piaciuta l’avventura?" La frase ha scatenato l’ira degli occupanti che hanno avuto la sensazione che al danno fossero aggiunte le beffe. Una signora di rimando le ha chiesto: "Ma allora vuoi prenderci per il sedere?" e la discussione è continuata animata per un buon quarto d’ora.

A due chilometri di distanza dal tempio della luna visitiamo il tempio della dea del sole. O meglio, anche lì riusciamo ad osservarlo solamente dal di fuori di una recinzione senza nemmeno poter fare il giro attorno. In questo caso gli scavi in corso sono effettuati da archeologi americani.

Il sole è a picco e il vento alza la sabbia. Immediatamente tutti si trasformano in gente del deserto coprendosi la nuca e la bocca con i fazzoletti, con il risultato di assomigliare a dei beduini.

Visitiamo a poca distanza i ruderi della vecchia diga crollata del 570 dopo Cristo dopo 1500 anni dalla sua costruzione. Oggi sono rimasti i resti dei due contrafforti che sono imponenti.

Oggi Mohamed porta un mitra kalashnikov con due caricatori ed il cannocchiale. Ci impedisce di comprare merce dalle persone che sono presso la diga. Forse si tratta di gente di una tribù ostile o che non ha concluso adeguati accordi commerciali con la FTI.

Nel 1984 su progetto di una società svizzera e con il finanziamento dello sceicco Zayed sovrano di Abu Dhabi per un importo di 72 milioni di dollari è stata costruita una nuova diga in sassi e terra e la valle di Ma’rib è di nuovo tornata fertile. Oggi vi sono coltivazioni di agrumi, meloni, angurie e pomodori. L’unica pianta che non cresce rigogliosa in questa valle è il quat (per fortuna!).

Alle 15 ci dirigiamo verso la vecchia città di Ma’rib disabitata dal crollo della diga e bombardata dagli Egiziani nel 1962.

Visitiamo i resti della moschea e poi per il ritardo accumulato non riusciamo a salire per le strade della città come promesso. Le guide sostengono che è pericoloso e pertanto nessuno può salire anche solo per scattare delle fotografie. Fare un viaggio di cinque ore per non poter vedere due templi perché chiusi da un reticolato, non poter vedere la vecchia Ma’rib perché pericoloso.... per fortuna almeno che non eravamo nel pullman che si è guastato!

Alle 15,30 pranzo a buffet nell’albergo Bilquis di Ma’rib. Alle 16,30, dopo aver acquistato delle cartoline, partenza per il ritorno. Il sole sta abbassandosi ed i colori delle rocce si accendono rendendo l’aspro paesaggio bellissimo.

Oltre a servire come via del petrolio la strada è utilizzata per portare nella capitale i prodotti agricoli. Lungo la salita del ritorno contiamo almeno una decina di camion stracarichi di cipolle, fermi per far raffreddare i motori. Gli autisti dei nostri pullman cercano di recuperare il tempo perduto. Durante il ritorno non ci fermiamo e, dopo una serie di sorpassi che tengono in scarso conto sia i veicoli che ci precedono sia quelli che sopraggiungono in senso contrario, giungiamo al nostro albergo dopo tre ore di viaggio alle 19,30.

Ci cambiamo i vestiti impolverati e alle 20,30 via di nuovo. La cena ci viene servita ad un altro ristorante della catena Sibani. Il menù è sempre uguale: riso con un condimento di verdure cotte, carne allo spiedo, trancio di pesce alla griglia e frutta. Il tutto innaffiato da... acqua minerale!

Mentre siamo al ristorante c’informano che sta piovendo, quando usciamo non ci accorgiamo neppure che sia avvenuto: la polvere è di nuovo secca.

Rientriamo in albergo, lungo le strade i negozi sono quasi tutti aperti nonostante siano le 22,30. In albergo ci aspetta un difficile compito, dobbiamo ridurre i bagagli portando con noi il minimo indispensabile e la valigia da lasciare a San’a deve essere pronta alle 5,45.

Anna Maria al suo ritorno in albergo ha trovato il pigiama ma è convinta che non si tratti del suo che era blu a strisce con riflessi diversi. Ora il pigiama, che è stato probabilmente lavato assieme alle lenzuola, è di un unico colore tutto stropicciato.

Di una cosa siamo certi visto l’accaduto: che le lenzuola sono lavate ad alta temperatura!

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