Martedì 25 luglio 2013


Oggi niente bagno. Appena arrivato mi sono procurato un taglio ad un piede perché la ciabatta troppo larga è scivolata lasciandomi scoperta la pianta. Per farlo rimarginare mi metto un cerotto, un calzino corto bianco prestato da Simonetta, le scarpette da mare e così conciato vado in spiaggia. Sembro uno dei turisti tedeschi che negli anni sessanta venivano a Rimini. Simonetta è già scesa per occupare i lettini sotto gli ombrelloni di vimini. Abbiamo scelto la posizione. Siamo d'accordo di scendere al mare di fronte alla piscina e quindi girare a sinistra. La cerchiamo sotto tutti gli ombrelloni sino alla fine della spiaggia. Niente! Torniamo sui nostri passi e la troviamo ben oltre alla piscina. “Non avevamo detto a sinistra?” “No a destra!” Ci risponde.

Una sosta al bar per un caffè e rifacciamo di nuovo tutta la passeggiata sino ad uscire dai confini della spiaggia. Qui solo deserto con abbondanti tracce del passaggio di esseri umani che hanno disseminato plastica e rifiuti in abbondanza.

Dal lato nord del villaggio ci sono i campi da pallavolo e di beach tennis. L'animazione sta organizzando gare di freccette e di lancio della ciabatta sinistra col piede. Una breve rincorsa, poi un gesto atletico con la gamba sinistra per far arrivare la ciabatta più lontano possibile.

Sembra un lancio del giavellotto al contrario. Alessio controlla i margini del campo di lancio verso gli ombrelloni e come un giocatore esterno di baseball, cerca di acchiappare al volo le ciabatte che terminano fuori campo, prima che possano cadere in testa agli ospiti stesi sui lettini.

Quindi tutto si sposta in piscina con esercizi di acquagym e balli di gruppo. Betta e Simonetta sono andate a bagnarsi nel bacino di acqua salata e ne abbiamo perse le tracce. Paolo mi convince ad accompagnarlo nell'escursione in quad per documentare con un video la gita.

Partiamo equipaggiati di tutto punto con cappelli sahariani , mascherine, occhiali da sub e foulard. Betta e Simonetta ci accompagnano alla partenza. Saliamo su un pullmino e ci dirigiamo a sud lungo la costa. Dopo un'ora di tragitto ci fermiamo davanti a due baracche.

Dietro sono allineate le motorette a quattro ruote. Partiamo. Il percorso è consumato dal continuo passaggio dei mezzi che hanno scavato dei solchi profondi trasversali al senso di marcia. Il mezzo, ideale per una sola persona, è insufficiente per due.

Il sedile ed il passo delle ruote sono troppo corti ed il passeggero è costretto a sedersi sul portapacchi, all'altezza delle ruote posteriori che sono senza ammortizzatori, mentre il conducente, nel tentativo di lasciare spazio al passeggero, si protende il più possibile in avanti, rischiando di schiacciare sul serbatoio rovente quanto ha fra le gambe.

I colpi sono micidiali. Due brevi soste per riprendersi un po'. Sembra che il percorso, che si snoda in mezzo a due file di colline lungo un wadi asciutto, non finisca mai. Dopo 25 chilometri e diecimila buche arriviamo davanti ad un caravanserraglio.

Ci viene offerto del tè ed una cattiva acqua gelata. Una donna sta cuocendo su una lastra di ferro, riscaldata da un fuoco fumoso alimentato con sterco di cammello, delle focacce azzime.

Poco lontano degli stalli fatti con lamiere ricavate da bidoni di latta. Dentro delle magrissime capre. Tutt'attorno i loro escrementi che assomigliano a palline di Resoldor, la liquirizia che masticavamo da ragazzi facendola uscire dal foro del contenitore di cartone.

Il sole tramonta ma non riusciamo a vederlo. Avremmo dovuto arrivare prima e salire su una collinetta lì a fianco.

Ripartiamo e percorriamo la strada dell'andata a ritroso. Ormai non si vede più nulla e i fari delle moto illuminano poco e fanno fatica a fendere il polverone sollevato dalle ruote. Non riesco a capire come Paolo riesca con estrema bravura a seguire la moto davanti ed evitare i grossi sassi che all'improvviso si parano davanti.

Quando siamo ormai vicini alla meta chiedo quanti chilometri manchino all'arrivo perché preferirei andare a piedi. Il dolore al fondo schiena e alla testa è ormai insopportabile. Finalmente arriviamo. Sembra un miracolo la fine del mio calvario.

Nel pullman che ci riporta all'albergo siamo tutti stremati e ricoperti di polvere. Una ragazza dice: “Bello, ne valeva la pena.” Domando:“Cosa? Restare in albergo?”

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