Lunedì 2 novembre 1998.

Colazione alla "Bracerie", il ristorante ove abbiamo mangiato ieri sera. Per entrare é necessario consegnare il biglietto che ci é stato dato all’arrivo. In Italia nutriamo molta più fiducia verso gli ospiti dei nostri alberghi!

Il menù a disposizione é limitato ma le brioches sono passabili ed i panini sono sempre buoni e croccanti. Qualcuno ha raccontato di aver letto che sarebbe possibile tenere la stanza sino all’ora della partenza a patto di avvertire. Pur diffidando della notizia, chiediamo conferma alla reception e ci confermano che dobbiamo lasciare la stanza in mattinata. Possiamo lasciare in deposito presso l’albergo i nostri bagagli. Scopriamo così che gli addetti al servizio sono numerosi e, vestiti di una livrea verde, sostano a turno nella hall. Afferrata la valigia del cliente l’addetto si dilegua nel deposito e dopo pochi istanti ne appare un altro. Il nostro transfert partirà dall’albergo alle 18.

Usciamo in gruppo e prendiamo la metropolitana diretti all’Ile de la Cité. Abbiamo deciso di visitare la Sainte Chapelle e la Conciergerie. Si trovano tutte e due nel Palace de Justice.

Passiamo il controllo delle borse all’ingresso ed entriamo nel cortile del palazzo.

La Sainte Chapelle é una chiesa di stile gotico ed é formata da due cappelle una inferiore ed una superiore. Si entra in quella inferiore a tre navate; le due laterali sono ridotte e le colonne che le dividono da quella centrale sono a poca distanza dal muro esterno. Passando per una stretta scala a chiocciola a fianco dell’ingresso si entra nella cappella superiore.

E’ questo il vero gioiello della costruzione. Nelle ampie finestre sono collocate delle vetrate del 1300 che rappresentano una bibbia iconografica completa. Le immagini riprodotte sono più di mille e ricoprono tutte le pareti compresa l’abside, mentre nella parte frontale é posto un enorme rosone con le scene dell’apocalisse.

C’é il sole e la parte delle vetrate che ne riceve i raggi si accende di intensi colori. Usciamo scendendo da una seconda scala a chiocciola e ritorniamo all’aperto. Fatichiamo un poco a capire quale sia l’ingresso della Conciergerie.

Dobbiamo uscire dal palazzo e girare a sinistra lungo la Senna. Bellissimi sono i saloni gotici: quello delle guardie all’ingresso e quello delle cucine con quattro enormi camini negli angoli. Grandissimo é quello che ospitava la mensa a più navate con quattro camini posti a due a due sui lati. Le altre sale del palazzo, ove sono ricostruite le prigioni della rivoluzione, hanno un carattere più rappresentativo che monumentale.

All’uscita la Betta mi offre l’ultima possibilità di evitare la visita ai magazzini La Fayette proponendo di separarci dal resto del gruppo e andare al Louvre. Venire a Parigi senza visitare il Louvre é quasi come andare a Roma senza entrare in San Pietro, ma per avere un buon motivo per tornare decido di non lasciare i gruppo. Il risultato non é dei più brillanti: prima si arrabbia mia moglie perché ho cambiato idea, poi mi arrabbio io perché me lo rinfaccia. Arrivo così a Montmartre non nelle migliori condizioni di spirito. Tutti vengono assediati dai pittori per un ritratto veloce. Io rifiuto dicendo: "N’est pas la journé!", poi vista l’insistenza dell’artista che simpaticamente sostiene che rappresento un modello interessante per gli occhiali ed il cappello che porto, accetto l’invito e mi passa il nervoso.

Il risultato non é bello ma é più realistico di quello degli amici: dai loro ritratti i pittori tolgono con la fantasia qualche anno. Quello della Betta sembra sia stato fatto nella sua fanciullezza. Nella piazza sostano altri pittori che con un cavalletto espongono o fanno dei dipinti ad olio e ne propongono la vendita, L’insieme é curioso e variopinto. Cerchiamo un locale ove fare uno spuntino sedendoci: la scelta é felice, ne troviamo uno posto sull’angolo della piazza precedente a quella centrale e saliamo al primo piano. La sala é accogliente, con travi di legno al soffitto ed un camino di pietra alla parete. Crepes al formaggio ed una intera baguette farcita ci vengono servite da un cameriere che bonariamente ci sfotte parlando un italiano con accenti dialettali. Riprendiamo il metrò e scendiamo alla fermata dell’Opera per raggiungere i magazzini La Fayette. Sono enormi e disposti in diversi palazzi collegati fra di loro. Nella parte centrale esiste ancora il salone, ricoperto da una volta in ferro e vetro con le balconate in stile liberty, che é rimasto uguale dall’inaugurazione dei magazzini avvenuta nei primi anni del secolo.

L’appuntamento per il ritorno é fissato per le 17. Alle 16 e trenta tutti esausti ci troviamo in anticipo all’uscita. Piove e anziché tornare alla fermata dell’Opera entriamo subito in quella più vicina per raggiungerla con un treno. Arriviamo ai binari e il treno sta per partire, non siamo certi che la direzione sia quella giusta, mi fermo un attimo per controllare e qualcuno di noi sale, vedo sulle carrozze che é accesa una destinazione diversa da quella scelta, fermo gli altri e dico di scendere a chi é già salito, La Bona scende subito, la Betta che nel frattempo ha sentito il segnale di chiusura delle porte rimane attaccata al sostegno centrale e non accenna a muoversi, salgo con un piede sulla carrozza e rimanendo in mezzo alla porta letteralmente la tiro giù. Se ci fossimo persi o se la direzione fosse stata sbagliata avremmo rischiato di perdere il transfert. La direzione, dopo le verifiche, risulta quella giusta e prendiamo il treno successivo, arriviamo all’albergo, recuperiamo le valige. Lascio alla Betta l’incarico di occuparsi dei cappotti e del bagaglio a mano mentre io prendo le valige. Arriviamo al pulmino e... manca il mio cappotto e la borsa con i biglietti dell’aereo, di corsa ritorno nella hall e ritrovo ogni cosa. Siamo ormai stanchi e la fatica dei giorni trascorsi si fa sentire. Ma siamo ormai di nuovo nelle mani degli operatori turistici: possiamo rilassarci e farci condurre.

Siamo in anticipo di mezz’ora, il traffico é caotico e viaggiamo a passo d’uomo su una strada a quattro corsie. Raggiungiamo l’aeroporto dopo un’ora e mezza. L’anticipazione della partenza dall’hotel ci era parsa una fortuna ma si rivela un poco dispendiosa. Per risparmiare... compriamo foulards di Hermes e bottiglie di champagne. Strana forma di risparmio!

L’imbarco é spedito, ci infilano in un mostruoso veicolo che somiglia ad un enorme grillo a otto ruote che si alza e si abbassa e, staccatosi dal terminal si dirige all’aereo, vi si appoggia con una bocca a soffietto e ci infila direttamente nella cabina. L’aereo é pieno, a Bologna c’é una fiera e molte sono le persone che vengono attirate.

Atterraggio perfetto e in orario. Recupero delle valige, abbracci e saluti.

Il giorno dopo, mi sento ancora frastornato, mi sembra di essere partito da molto tempo, le cose fatte sono state tante e così intense che gli avvenimenti precedenti al viaggio appaiono lontani. Torno al lavoro e i colleghi gentilmente mi chiedono come é andata, la mie impressioni, cosa mi é piaciuto di più, come ho mangiato... "La cucina francese é diversa! Ho sentito tanto il bisogno di un piatto di pasta fatto come si deve che i maccheroni pasticciati mangiati oggi in mensa mi sono sembrati persino buoni!"

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