Martedì 27 ottobre 1998.

Sveglia alle sei, colazione, chiusura della valige e alle sette e mezza ci dirigiamo all’aeroporto accompagnati da Gherardo che stenta a rimanere sveglio. Non é abituato a simili levatacce. Bisogna però accompagnare i genitori, che partono per Parigi, per avere a disposizione l’automobile per un’intera settimana.

Alle otto consegnamo i bagagli e cominciamo ad aspettare i compagni di viaggio.

La Bona e Mario, Ornella e Ivan arrivano da Rimini e tarderanno un poco. La chiamata per l’imbarco é prevista per le 8,50. Dieci minuti prima non si vedono ancora; cerchiamo di comprare una scheda telefonica per sentire quanto tarderanno ed eccoli. Qualcuno ha avuto dei problemi e all’ora fissata non era pronto per la partenza.

Il tempo é ottimo, fa caldo, la visibilità é perfetta. Sorvoliamo la pianura Padana. Si vedono distindamente le Alpi e gli Appennini. Dopo aver girato attorno al monte Bianco incontriamo le nubi. Il cielo é coperto ed il capitano ci avverte che a Parigi c’é una temperatura di 12 gradi centigradi e soffia vento da ovest.

In aeroporto troviamo ad attenderci l’incaricata della Boscolo che ci spedisce con un pulmino a nove posti in albergo. Le vetture devono partire piene e una famiglia di tre componenti viene separata. Il marito che viene con noi non nasconde il disappunto e non accetta le nostre battute, che vogliono essere scherzose per instaurare un clima confidenziale.

All’arrivo in albergo le camere non sono ancora pronte. Lasciamo i bagagli in deposito e prendiamo la metropolitana per dirigerci al musée d’Orsai.

La ragnatela dei corridoi del metrò forma una seconda città sotterranea ove corre e vive la maggior parte delle persone che solo a tratti emergono alla superficie.

Le informazioni, prese alla reception dell’albergo per raggiungere il museo, si rivelano poco precise. Percorriamo a piedi oltre un chilometro del lungo Senna. Doveva certamente esserci una fermata più vicina.

Proviamo a mangiare un boccone al bar del museo. La fila per potersi sedere é molto più numerosa dei posti disponibili che sono tutti occupati. Decidiamo di recarci al ristorante e facciamo un’ottima scelta. L’attesa in fila é breve: un tavolo per sei persone é disponibile dopo pochi minuti.

I saloni sono magnifici con maestosi lampadari che scendono dal soffitto. Poco buona é l’entrecôte con pommes che ordiniamo. Il sapore sarebbe discreto ma la carne non é tenera, anzi "tres dure", come Betta (mia moglie) fa rilevare al cameriere, e mette a dura prova le nostre dentature. L’Ornella, che invece ha ordinato il carpaccio, é stata più fortunata.

Gli sbalzi di temperatura sono forti. All’interno del metrò fa caldo, all’aperto soffia un vento fastidioso e dentro al museo il calore diventa quasi insopportabile: Mario é in un bagno di sudore. Gli facciamo ala per creargli un piccolo séparé: si toglie camicia e canottiera madide.

La collezione degli impressionisti francesi é molto bella e ci colpiscono i pastelli di Toulouse Lautrec, le ballerine di Degas, e i colori di Van Gogh.

Ivan e l’Ornella sono preoccupati e costantemente al telefono per avere notizie del loro figlio Fabio che é da poco partito per il servizio militare. Ha oggi la visita medica e spera di tornare a casa. Mario si domanda se il male all’orecchio che l’Ornella accusa sia dovuto all’uso incessante del telefonino.

Usciamo dal museo e torniamo in albergo alle 18. Un breve riposo e poi appuntamento col resto del gruppo che é giunto da Milano in pullman.

Conosciamo il nostro accompagnatore Piero. Ci accoglie per la cena e ci spiega che il mangiare in Francia é diverso. Infatti come esempio ci viene propinata una cena "diversa". Rape con mele per antipasto, merluzzo con riso pilaf per secondo e un dessert di panna e cioccolato a forma di virgola, ricoperto di marmellata di fragole e guarnito con una foglia di mentuccia. Sul piatto una salsa indefinibile di colore giallognolo e di consistenza dubbia che non é altro che succo di albicocca concentrato.

Ordiniamo da bere due bottiglie di acqua minerale e tre birre che dovrebbero costare meno del vino. Totale 145 franchi; circa 45000 lire. Pensiamo cosa sarebbe successo se avessimo ordinato una bottiglia di vino!

La serata si conclude con un giro panoramico nella Parigi illuminata e lungo la Senna col bateau mouche. Siamo ben coperti e resistiamo al freddo che sentiamo per il movimento della barca che é un’enorme chiatta con potenti fari laterali che illuminano tutto attorno e può portare mille passeggeri.

Sulla torre Eiffel, che é illuminata in modo splendido, svetta una scritta luminosa accecante che indica il numero dei giorni che mancano all’inizio dell’anno 2000 che rovina lo spettacolo d’insieme. Sembra che i parigini provino un particolare gusto a spezzare l’armonia d’insieme inserendo forme diverse e contrastanti. Davanti alla piazza del Trocadero, di fronte alla torre, é installato uno spettacolo di proiezioni su teli che é un pugno in un occhio e tale ci appare la piramide di vetro costruita al centro della facciata del museo del Louvre.

Stanchi ed assonnati guadagnamo le camere e piombiamo in un sonno ristoratore.

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