Prologo

"Pronto! Giovanni? Sono Michele, ci hanno assegnato la barca, è a nostra disposizione per otto giorni, si parte martedì mattina da Livorno. Vieni? Porta anche Alberto e Anna".

Sono le 22 passate di domenica 13 luglio 1997, la telefonata del figlio di Pier Sandro, mio cugino, mi raggiunge a Monteacuto delle Alpi e domani mattina aspetto l'idraulico del Comune di Lizzano per cercare di risolvere i problemi dell'approvvigionamento idrico, nel pomeriggio devo essere in ufficio.

No, non è possibile partire!

"Non credo che riuscirò a venire, sento Alberto e Anna. Ti telefono domani pomeriggio." Peccato dover rinunciare, ma con un così breve preavviso è difficile organizzare l'attività dell'ufficio per i prossimi giorni.

Avverto subito Alberto e Anna. Alberto, mio figlio, ha una riunione venerdì a cui non può mancare e Anna, sua moglie, non può prendere le ferie in questi giorni. Silvia e Gherardo, gli altri figli, sono impegnati nella preparazione degli esami universitari della sessione estiva.

"Pronto. Michele? No, non possiamo venire. Ci dispiace tanto. Sarebbe stato bello ripetere l'esperienza dell'anno passato!"

Quattro giorni sul mare, intensi, da Viareggio a Capraia, Bastia, Porto Ferraio e Livorno.

"Sono Pier Sandro! Scusa ma abbiamo avuto conferma di avere la barca a disposizione da soli due giorni. Il programma è cambiato, partiamo giovedì mattina presto, è sufficiente che tu ci raggiunga mercoledì sera a Livorno."

Mercoledì 16 luglio 1997.

Sono le 16,30, dopo aver saputo che Silvia ha superato brillantemente l'esame che doveva sostenere oggi, riesco a fuggire dai pensieri e dalle preoccupazioni del lavoro.

Prendo l'automobile e parto per Livorno, dove è ormeggiata una delle barche a vela che vengono affidate agli ufficiali della Marina per le crociere estive.

Alle 19 sono già arrivato e incontro Pier Sandro che mi sta aspettando sul lungomare all'inizio dell'Accademia Militare.

Per poter parcheggiare la mia auto all'interno, in un luogo tranquillo e sicuro, deve essere un mezzo a disposizione di un ufficiale dell'Accademia. Così Pier Sandro si mette alla guida della mia auto, con un attimo di perplessità, più che di difficoltà: non ha mai guidato prima un'auto col cambio automatico.

Portiamo a bordo della barca, che è ormeggiata nel porticciolo dell'Accademia, la mia sacca e le 12 bottiglie di vino che Michele accoglie con entusiasmo.

Facciamo subito un brindisi di benvenuto ed andiamo a cena ai "bagnetti". All'interno dell'Accademia è situato uno stabilimento balneare esclusivo, ad uso dei militari e delle loro famiglie.

Si accede ad un'ampia terrazza con le cabine ed a fianco un bar tavola calda. Sul davanti una scala porta ad uno spiazzo in cemento che funge da spiaggia, vi sono infissi gli ombrelloni e disposte le sdraio.

A fianco dello stabilimento sbocca un canale di scarico delle acque di superficie e dalla parte opposta si trova il molo del porticciolo.

Dopo aver cenato con pizza e patate fritte, tutti a bordo ed alle 22 tutti a letto. Mi sono portato solo il sacco a pelo e me ne pento. Fa caldo e non riesco a starci dentro.

Stendo il telo da bagno sulla cuccetta e tento di dormire così. Il buio a cui sono abituato è un ricordo. Le lampade del porticciolo illuminano la cabina.

Una salva di fuochi d'artificio. che sembrano un fuoco di sbarramento di contraerea, fanno il resto per cercare di impedirci di dormire.

Giovedì 17 luglio 1997.

Alle sei sono sveglio, cerco di restare sdraiato nella cuccetta il più possibile per non disturbare gli altri. Pier Sandro e Michele dormono come angioletti ed il pezzo di cielo che appare dall'oblò è quasi sereno.

Anche se sono previsti temporali si decide di partire.

Ci dirigiamo verso il bar dell'Accademia per fare colazione, lo raggiungiamo prima dell'orario di apertura, i locali sono deserti, solo due donne delle pulizie percorrono con i loro spazzoloni gli ampi corridoi.

Alle 7,30 il bar apre. Misteriosamente si materializzano numerosi avventori che si precipitano sulle brioches fresche.

Alle 8 si salpa diretti all'isola di Capraia che dista 34 miglia in direzione 212 gradi.

Usciamo con circospezione dal porticciolo, il pescaggio della nostra barca è al limite per la profondità dell'imbocco, possiamo passare solo per pochi centimetri.

Quest'anno abbiamo a disposizione una barca gemella di quella dell'anno passato che si chiamava Sestante, un Grand Soleil 343 costruito dai cantieri del Pardo di Crespellano, di nome Quadrante ma che non è dotato di pilota automatico e del frigorifero. Ha una ghiacciaia ma non siamo riusciti, per la chiusura del circolo ufficiali, a procurarci il ghiaccio per farla funzionare. Possiamo tenere a bordo solamente provviste da conservare a temperatura ambiente.

Iniziamo la navigazione verso l'isola di Capraia. Non spira neppure un soffio di vento ed il mare è calmo, solo delle lunghe onde che arrivano sulla prora, residuo di quelle alzate dal vento di ieri, fanno beccheggiare la barca.

Dopo due ore il vento si alza al traverso. Issiamo le vele e raggiungiamo i sette nodi di velocità. Il divertimento dura poco perché il vento rinforza ancora e la prudenza ci costringe ad ammainare il fiocco e a prendere una mano di terzaroli alla randa, riducendone la superficie.

Procediamo di bolina stretta ed abbiamo di prua alte onde che cominciano anche a frangersi. Il mare raggiunge forza 3-4 ed il vento i 14 nodi. Infiliamo le cerate gialle della barca e mettiamo una seconda mano di terzaroli, ora gli spruzzi delle onde raggiungono la coperta della barca, ma la navigazione procede sicura.

Consumiamo i panini acquistati al bar dell'Accademia, che sono il pranzo previsto per la giornata, poi pian piano il vento cala e ci lascia a rollare su un mare ancora agitato.

Alle 14,30 distiamo ancora 10 miglia dalla nostra meta e l'isola di Capraia non si vede ancora. La barca procede a motore. Sviluppiamo una velocità di 3,9 nodi, teniamo una rotta di 210 gradi con direzione Sud Ovest.

Quando l'isola appare si vedono solo i contorni vicino al mare. La parte superiore è ricoperta di nuvole.

In prossimità della costa si mette a piovere, ma per fortuna si tratta solo di poche gocce.

Entriamo in porto, è stracolmo. C'è ancora un posto sulla punta del molo riservato alle imbarcazioni militari e riusciamo ad ormeggiarci con la barca posta di fianco alla banchina, si scende a terra comodamente senza dover montare la passerella.

In rada contiamo 23 imbarcazioni ancorate.

Michele preferirebbe, dato che abbiamo un piccolo gommone d'appoggio che rimorchiamo durante la navigazione, provare l'esperienza di stare alla fonda in rada, ma un simile ancoraggio ci obbligherebbe a non lasciare mai la barca completamente abbandonata privandoci del piacere di stare assieme. Ora possiamo scendere a terra quando vogliamo.

Assistiamo all'arrivo del traghetto che è per l'isola l'avvenimento della giornata.

Al comandante del porto spettano i compiti di organizzare l'attracco, stende solo all'ultimo momento una catena per delimitare il punto in cui verrà calato il portellone e si lamenta che tutti i giorni deve richiamare l'attenzione di tutti coloro che debbono lasciare libera la zona pericolosa. Se avesse steso la catena prima .... avrebbe avuto ragione di lamentarsi della presenza ravvicinata dei curiosi.

Il paese si anima, il traffico dei veicoli, che per tutto il giorno è proibito, diventa caotico.

Ceniamo al ristorante dove siamo stati anche l'anno passato. Ci attrae il ricordo di una cameriera simpatica e carina.

La gestione è probabilmente cambiata, mangiamo meglio e la cameriera è insignificante.

Ci viene offerto, come antipasto, panzanella e bruschetta, poi arrivano degli spaghetti allo scoglio, troppo sottili ma buoni, fritto misto di mare molto delicato e fritto di verdure. Il vino trebbiano di Toscana è adatto al menù ed il costo di trentanovemila lire a testa è proporzionato a quello che ci è stato servito.

Torniamo a bordo. Ha iniziato a soffiare il libeccio che le previsioni davano come imminente.

Molte barche, che si trovano esposte, cercano di cambiare ormeggio passando dalla fonda ai moli.

Le manovre sono concitate e quasi mai riescono al primo colpo. Mi consolo di incertezze od errori fatti nel passato guardando quello che sta succedendo: le manovre specialmente a marcia indietro con vento teso al traverso sono difficili per chiunque.

Tutti a letto e ci addormentiamo profondamente tranne Michele che, preoccupato del movimento del porto, veglia.

Si sta immedesimando nel ruolo del responsabile della barca e crediamo cominci ad essere contagiato dalla sindrome del comandante.

Venerdì 18 luglio 1997

Alle otto sveglia. La colazione, consumata nel bar del porto è ottima. Le brioches sono fresche ed anche il latte che viene usato per la preparazione del cappuccino non è a lunga conservazione.

Oggi il libeccio soffia ed alza un mare forza sei. Non è possibile lasciare il porto e dobbiamo cambiare programma. Rimandiamo la partenza per Porto Ferraio a domani.

Decidiamo di visitare l'interno dell'isola.

La visibilità è ottima ed il cielo è terso, alle 10,30 ci incamminiamo verso il paese da cui parte il sentiero che porta al laghetto denominato "lo stagnone" meta della nostra passeggiata. Il sentiero è accidentato e pieno di pietre.

Il primo tratto consiste in una specie di lungo muraglione che si staglia nel mezzo della bassa vegetazione. L'interno dell'isola è impraticabile, la vegetazione è tutta composta da bassi arbusti e solamente in alcuni punti riparati riesce a crescere oltre i due metri, allora il sentiero diventa ombreggiato e godiamo di un poco di ombra ristoratrice.

Solo in pochi punti, lontani dal sentiero, si ergono dei pini maestosi.

La salita è impegnativa, il caldo si fa sentire, penso con soddisfazione all'abbigliamento scelto: un paio di calzoncini corti che mi permettono di non accaldarmi. Finito di fare questa considerazione il sentiero cambia, ci inoltriamo nel fitto delle sterpaglie e i bassi rami graffiano le cosce nude. Non ci si prende mai!

Quando il sentiero raggiunge il crinale il vento è molto forte, si vede la Corsica ed in basso contro la costa dell'isola, che è esposta al vento, si frangono le onde. Pranzo con una bustina di crakers e tre formaggini. Proseguiamo e raggiungiamo finalmente lo stagnone.

Ci stupiamo che a meno di cinquanta metri di dislivello dalla cima più alta dell'isola possa esserci in luglio una pozza d'acqua di duecento metri per cinquanta. La maggior parte della superficie è coperta dalle canne.

Non contenti cerchiamo di trovare il vecchio sentiero che dovrebbe riportare al porto passando dalla parte opposta dove è situata la vecchia colonia penale e proseguiamo ancora.

Arriviamo sulla cima del monte delle Penne ma qui il sentiero finisce e tutto attorno ci sono solo arbusti. Ritorniamo al porto ripercorrendo lo stesso sentiero dell'andata. Dopo sei ore di marcia alle sedici e trenta siamo di nuovo in paese.

La prossima volta che tornerò in barca mi porterò anche piccozza e scarponcini. Hai visto mai?

Pier Sandro ha notato una barca in difficoltà e cerchiamo il comandante del porto per avvisarlo. I soccorsi sono già partiti e dobbiamo cambiare il nostro attracco per far posto alle due barche che sono state rimorchiate in porto.

Le barche in difficoltà erano due. Si raduna un numero incredibile di persone attirate da una curiosità quasi morbosa.

A fianco è ancora ormeggiata una barca con la randa a brandelli che dondola al vento come un arto spezzato. Alla fine di giugno, sorpresa da una tempesta, ha perso un componente dell'equipaggio in mare. E' sequestrata per l'inchiesta. Ce lo racconta il comandante del porto che ha terminato di coordinare le concitate operazioni di soccorso ed è venuto a bordo per un aperitivo.

Oggi il traghetto non ha fatto servizio. Tutta l'isola, priva dei contatti con la terra ferma, si sente a disagio. Manca la confusione serale dell'arrivo del traghetto ed il vento che soffia ancora infastidisce di più.

Ci dirigiamo allo stesso ristorante di ieri sera e decidiamo che la cameriera non ci piace proprio: ci respinge perché i tavoli sono tutti occupati o riservati. Non accenna neppure ad offrirci di tornare più tardi.

Probabilmente il mancato arrivo del traghetto ed il mare che ha impedito l'uscita di tutte le barche da pesca hanno messo in crisi le disponibilità della cucina.

Torniamo in barca ed approfittando dei rametti di rosmarino raccolti lungo la passeggiata, cuciniamo un piatto di maccheroni al rosmarino. La fame di tutti aiuta il cuoco a riscuotere un grosso successo e quindi, tutti a dormire.

Sabato 19 luglio 1997.

Il libeccio soffia ancora ed aspettiamo il bollettino delle previsioni del tempo per decidere se partire nel pomeriggio. Nell'attesa mi dirigo da solo alle carceri abbandonate della colonia penale che si trovano sopra al porto. I miei compagni sono stanchi per la passeggiata di ieri e non hanno voglia di camminare.

La strada in cemento si inerpica esposta al sole con una serie di stretti tornanti. Dopo aver passato il portale di ingresso trovo degli splendidi pini. Il posto è deserto. Non si sente un rumore se non quello prodotto dalle cicale e dal vento che soffia meno forte di ieri.

Il carcere è composto da varie costruzioni. Una in particolare dà un grosso senso di malinconia e di tristezza: su di un corridoio si aprono o meglio sono chiuse da una porta di ferro e da un cancello otto piccole celle. Ognuna ha un piccolo bagno con un lavandino ed una turca.

Al muro sono ancora attaccate (mi domando però se sia un falso successivo creato per uso e consumo dei turisti portati in visita) pezzi di riviste pornografiche e foto di calciatori, a testimonianza di solitari e miseri sogni.

Torno indietro, sono ormai all'uscita del perimetro del carcere e mi accorgo di non aver scattato nemmeno una foto.

La perdita della libertà è molto dura, anche se è meritata. Tanta pena penso debba essere ricordata. Ma le immagini crude della sofferenza altrui credo non vadano mostrate.

Ritorno alla barca e le previsioni del tempo non sono ancora buone. La decisione del Comandante è di rimanere a Capraia. Per un momento provo come un isolano possa sentirsi prigioniero.

Per pranzo mangiamo dei crostini che Michele ha preparato al forno. Misteri degli allestitori degli interni delle barche: hanno messo un forno a gas e solo una ghiacciaia al posto del frigorifero!

Dodici fette di pan carrè bagnate con latte e coperte con sottilette di formaggio. Terminiamo il pranzo mangiando abbondante frutta.

Nel pomeriggio cerco una spiaggetta per prendere un poco di sole e fare il bagno. Mi tuffo, l'acqua è abbastanza pulita e trasparente, ma gli scogli che affiorano sono ricoperti di molluschi con conchiglie taglienti.

Sfioro con un ginocchio uno di questi e mi procuro un taglio che sanguina copiosamente. Mi bendo con un fazzoletto che ben presto si macchia col risultato di farmi assomigliare ad un garibaldino ferito.

A fianco della nostra barca ne è ormeggiata un'altra che porta il nome di Godot2 che sarebbe, stando alla scritta a poppa, una unità dell'Istituto di studio e ricerca sui pesci banana. Pensiamo che l'Istituto sia finanziato da un abbondante numero di bagnanti terrorizzati dai pericolosi pesci. Lasciamo le bucce di due banane davanti all'ormeggio con un cartello: "Pesci banana?" Il proprietario le raccoglie e le getta nel bidone dell'immondizia schifato e per niente divertito dal nostro scherzo.

Dopo un breve giretto in gommone lungo la costa torniamo in barca e ci accingiamo a preparare due pizze.

Temo che i miei compagni abbiano avuto freddo questa notte e studino tutte le maniere per riscaldare l'interno della barca: forse non basta il sole cocente che tutto il giorno batte sulla coperta.

Pier Sandro ha invitato il comandante del porto il benzinaio e l'acquaiolo: veri padroni e despoti dell'area portuale.

Usando il preparato della pizza Catarì e correggendolo adeguatamente, riusciamo ad ottenere un discreto risultato. Alle 18 il "Pizza-Boat" è pronto.

Sotto gli occhi incuriositi di tutto il porto mangiamo, assieme agli invitati, il frutto delle nostre fatiche, annafiandolo copiosamente col solito vinello.

Michele è incerto se lanciarsi per una sventolona che indossa dei pantaloni tutti stracciati, che poco lasciano di coperto per la fantasia, e circola sul porto a bordo di un enduro blu oppure se dedicarsi alla compagna tardona dello schipper del "Mait" un bialbero in legno, la barca non la tardona, costruito nel 1954 di oltre 20 metri di lunghezza.

Propende per quest'ultima ed andiamo in visita pastorale portando come offerta propiziatoria due bottiglie.

La nave è molto bella, ha due bagni con doccia e, cosa mai vista su di una barca a vela, due bidè. L'armatore e gli ospiti devono ancora mangiare e ci invitano a tornare dopo cena per vuotare assieme le bottiglie.

Dopo aver mangiato la pizza, non abbiamo più fame e cominciamo a passeggiare sul molo in attesa della fine della cena a bordo del Mait.

Alle 10 stanchi, ed ormai convinti di essere stati dimenticati, andiamo a dormire. Alle 10,30 arriva il marinaio del Mait a cercarci. Io e Pier Sandro stiamo già dormendo profondamente. Solo Michele ci rappresenta degnamente e rimane sino alle due a chiacchierare.

Domenica 20 luglio 1997.

Ore 7 sveglia ed alle otto siamo già fuori dal porto con rotta 123 gradi. Salutiamo per radio il comandante del porto e gli confermiamo, come d'accordo, la nostra partenza.

Ogni nave militare, quando salpa, deve comunicare alla base operativa il "Nav-Part", indicando l'ora della partenza, il luogo di destinazione e l'ora prevista per l'arrivo. All'arrivo deve essere fatta un'altra comunicazione il "Nav-Arr" per confermare l'arrivo al porto di destinazione.

La navigazione è favorevole e finalmente possiamo prendere un poco di sole sul mare.

Mi sdraio a prua e appena il segnale del cellulare riprende, a Capraia solo la Telecom ha un ripetitore, mi sfogo comunicando a tutti che siamo partiti e che è di nuovo possibile rimettermi in comunicazione col mondo. Ci si abitua presto alle comodità e se ne diventa schiavi con altrettanta facilità!

Per pranzo abbiamo solo del pane di ieri. Non abbiamo fatto spesa. Invento un sugo con fagioli aglio e pomodoro per consumare un pasto alla moda di Terence Hill.

Alle 12 siamo già a ridosso dell'Elba ed il nostro arrivo sarebbe, se proseguissimo nella stessa direzione, troppo anticipato.

Spegniamo il motore e facciamo un breve tratto solo a vela. Tutti siamo contenti per la decisione presa e riusciamo ad assaporare il piacere di una navigazione silenziosa.

Arriviamo in porto e ci prepariamo ad ormeggiare. Non ci hanno riservato, come l'anno passato, un attracco con una boa legata ad un corpo morto a cui fissare una nostra cima e dobbiamo ancorarci per poi fissare la poppa alla banchina.

Manovra perfetta. Spento il motore il comandante ha il dubbio di aver buttato l'ancora troppo presto e di conseguenza troppo in mezzo al porto, con il rischio di trovarla al mattino dopo ricoperta dalle catene delle ancore gettate successivamente dalle altre barche.

Ordina pertanto un'esercitazione nuova: il recupero dell'ancora e della catena fatto a mano servendoci del canotto d'appoggio, per poterla portare più vicina alla banchina.

Mi ero vestito per l'arrivo in porto tutto di bianco, mi cambio ed assieme a Michele procediamo all'operazione che consiste nel recuperare a forza di braccia la catena.

Stando a bordo del canotto, dobbiamo issarla dalla prua e ricalarla man mano dalla poppa della piccola imbarcazione sino a che l'ancora si sia staccata dal fondo. Quindi dobbiamo portarla nel punto desiderato e ricalarla.

Dalla Capitaneria tutti ci guardano. Credo che stiano ammirando la ferrea disciplina che regna a bordo del Quadrante dato che, dopo l'ordine dato, non c'è stato un regolare ammutinamento.

Michele rimane a bordo ed io e Pier Sandro visitiamo le fortezze medicee che sovrastano la città. Il panorama che si gode è splendido e compensa i numerosi sali e scendi a cui siamo costretti.

Al nostro rientro a bordo scopriamo che un'altra barca ci si è affiancata, ha mollato il traversino che avevamo messo per rendere più sicuro e stabile il nostro ormeggio, e senza ancorarsi di prora, si è attaccata al nostro bordo.

Risultato: l'ancora non tiene più e rischiamo di battere la poppa contro il molo. Ci agganciamo alla boa della barca situata sul nostro fianco sinistro e riusciamo a compensare la tenuta ormai precaria dell'ancora.

Assistiamo alla messa alle 19 poi a cena. Maccheroni ai cannolicchi ed un'ottima spigola con verdure al forno. Michele mangia due scaloppine. Quindi una breve passeggiata ed a letto.

Lunedì 21 luglio

Alle sei e trenta sveglia, colazione e spesa per i panini del viaggio.

Partenza alle 7,30. Rotta 360 gradi.

Vento previsto Ovest forza 5, effettivo Sud-Est forza 3-4.

Alle 8 doppiamo gli scoglietti posti all'imboccatura della baia e mettiamo la barca in vela. Il vento è incerto fra la poppa ed il lasco.

Finalmente usciamo dalla copertura dell'isola d'Elba ed il vento rinforza. Non riduciamo la velatura perché il tempo sembra stabile e viaggiamo comodamente al lasco.

Alle 11,30 abbiamo percorso 22 miglia delle 45 che ci dividevano da Livorno.

Ora il vento soffia da sud fresco e teso senza alzare onde sul mare.

Spegniamo il motore e la barca continua a sviluppare una velocità superiore ai sei nodi. La navigazione diventa piacevolissima.

Consumiamo i panini che risultano essere poco buoni. Il pane è gommoso e la mortadella non assomiglia neppure a quella che siamo abituati a mangiare a Bologna.

Alle 16,30 siamo in vista di Livorno.

Quasi quasi ci dispiace di interrompere la navigazione che nelle ultime ore è stata particolarmente piacevole.

Ormeggiamo nel porto dell'Accademia Militare. Il caldo a terra è quasi insopportabile.

Pensiamo alla sofferenza dei ragazzi che prestano servizio di leva e sono costretti a restare in quel forno in divisa.

Accompagno Pesando e Michele a Viareggio e saluto Maria Teresa e Mariangela.

"Peccato che non abbiate potuto raggiungerci! E' stato bellissimo!"

"Allora tienti libero quest’altro anno dal 10 al 20 luglio, la prossima volta riusciremo a fare il periplo dell'Elba, oppure andremo all'Argentario e forse a Ponza... o alla Maddalena...."

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