Venerdì 14 settembre 2007.

Questa mattina è stato cambiato l'arredamento della sala da pranzo. Hanno tolto i tavoli con le tovaglie e li hanno sostituiti con altri di tipo country o falso rustico di colore marrone con striature gialle. L'unica cosa passabile dell'albergo è stata sostituita! Partiamo, siamo diretti alla chiesa cattolica di Yerevan che si trova nella periferia della città in mezzo a grossi condomini, vicino alla fabbrica della coca cola ed è qui che il nostro autista tenta di portarci. Ritorniamo indietro e scorgiamo padre Gregorio che, uscito in strada, ci aspetta. Entriamo in chiesa e ci racconta la sua esperienza di catechista. E' il primo prete armeno, ordinato nel 2001, dopo la caduta del comunismo. Suor Teresa di nazionalità polacca, da 16 anni in Georgia, traduce. L'impegno dei nostri ospiti è grande. Padre Gregorio che è armeno, parla in russo e suor Teresa, polacca, traduce in Italiano. Soddisfatta la nostra curiosità don Giancarlo celebra la Messa. Alle 11 ci spostiamo al museo del genocidio armeno costruito nel 1967 su una delle colline che dominano la città verso nord ovest. Stanno falciando l'erba in due diversi tratti di prato. Da una parte lavorano due uomini con una falciatrice, dall'altra tre uomini e tre donne con falci e rastrelli: Forse si tratta di due diversi appalti. Al di là del prato si trova il monumento con la fiamma perenne in memoria del genocidio degli Armeni trucidati dalle forze dell'Impero Ottomano prima e quelle Repubblicane Turche dopo, tra il 1896 ed il 1922. Stringe il cuore pensare come siano stati distrutti interi popoli per rubare loro la terra e come molti stermini silenziosi siano ancora in atto. Oltre alla preghiera ognuno porta la propria testimonianza nella speranza che simili atrocità finiscano. In pullman la nostra guida ci ha legge una breve poesia del poeta armeno Paruir Sevak: "Ho capito, ho capito con dolore, che solo dopo il taglio si vede il vero spessore del tronco..." Scendiamo in centro e Viktorya ci porta nello spaccio ufficiale della fabbrica di cognac, il GB armenian brandy in corso Mashtots. Andiamo a pranzo all'Amazon cafè un locale pretenzioso in stile finto atzeco. Anche qui il servizio è lento ed i camerieri anziché toglierci i piatti quando abbiamo finito, siedono oziando davanti al bancone del bar. Quando riusciamo ad alzarci sono già passate le 15 e ci fermiamo per una visita in uno dei mercati coperti della città, dove è in vendita frutta fresca e secca. Davanti a numerosi banchi uomini e donne confezionano il caratteristico pane azimo.

Alle 16,30 arriviamo in albergo ed abbiamo, per il resto della giornata, tempo libero che ognuno organizza come desidera. In sei chiamiamo un'auto. Per visitare altri luoghi nei dintorni della capitale ci dirigiamo a nord est, lungo la stessa strada che abbiamo percorso per andare alla fortezza di Ambert. Passato il ponte sul fiume giriamo a destra per seguire il corso d'acqua che ha scavato una profonda e ripida valle lungo l'altopiano (gola del Kasagh). Sulla nostra destra ci appare maestoso il massiccio centrale del monte Ara (m.2575 slm) che ha le sembianze del volto di un armeno con il classico naso a becco d'aquila. Prima tappa a Mughi dove si trova il monastero di San Giorgio.

Proseguiamo verso nord ed arriviamo a Saghmosavank (convento dei salmi) qui si trova proprio sul ciglio del canyon la chiesa di San Sione. Davanti all'ingresso della costruzione un elegante gavit ed a fianco la biblioteca del 13° secolo. La luce entra da ovest negli edifici ed illumina l'interno.

Ultima tappa a Hovhannavank per visitare l'omonima chiesa. Accanto all'edificio una vecchia gru che è lì da vent'anni, testimone di un restauro mai terminato. Alle 19 torniamo in albergo per una doccia. Alle 20,15 si torna al ristorante Old Erivan dove siamo stati sabato. Stasera c'è anche l'orchestra che suona musiche locali. Il locale non é grande e il nostro tavolo é troppo vicino ai suonatori: il momento in cui abbiamo più apprezzato il complesso è stato durante le pause.

Sabato 15 settembre 2007.

Oggi ce la prendiamo comoda. Usciamo dall'albergo alle 9,30. Abbiamo la mattinata libera e decidiamo di tornare al Vernissage. Una breve passeggiata a piedi ed arriviamo quando sta aprendo. Molti degli espositori stanno ancora scaricando la loro merce. C'è fresco ed il sole non è così cocente come domenica scorsa. Le ore del mattino sono le migliori per visitare il mercato che questa volta riusciamo a vedere da cima a fondo. Gli espositori sono più numerosi e riusciamo ad acquistare qualcosa. Di nuovo a piedi prima di mezzogiorno rientriamo in albergo. Approfitto per fare il check-out: per pagare una sola bottiglietta d'acqua minerale impiego quasi venti minuti. Arrivo in ritardo alla Messa che don Giancarlo celebra. Un breve spuntino con pizze e panini nell'albergo quindi, chiuse le valige, partiamo. Viene a prenderci lo stesso pullman che abbiamo usato tutta la settimana. Non ha il bagagliaio e caricare le valige dall'ultimo finestrino non è agevole, soprattutto all'arrivo in aeroporto per fare la manovra inversa. Qui siamo solamente io e Paolo ad afferrare i bagagli che Karèn ci porge. Iniziamo le operazioni di imbarco. Il controllo dei passaporti è lentissimo. Le persone anziane, le famiglie con bambini e gli amici dei funzionari hanno la precedenza sulla fila. Man mano ci passano avanti. Siamo fermi. Se ne arrivano degli altri perdiamo l'aereo! Sia al check-in, sia all'imbarco rilevano le nostre impronte digitali in base alle nuove procedure sulla sicurezza dei voli internazionali, che da noi non vengono ancora applicate. Ma la privacy esiste ancora? Alle 16,05 partiamo per Mosca e dobbiamo ritirare la carta d'imbarco. Anche se le operazioni sono veloci, abbiamo solo il tempo per salire sull'aereo dell'Airflot diretto a Roma. Invece i nostri bagagli il tempo non l'hanno avuto. Davanti al nastro trasportatore all'arrivo c'eravamo solo noi quando si è fermato dopo la riconsegna e la denuncia del mancato arrivo è stata laboriosa. Uno degli addetti ha finito il proprio turno di lavoro proprio quando siamo giunti davanti al banco e ne è rimasto solo uno, lentissimo. Dopo mezz'ora sono arrivate altre due impiegate in aiuto. Oltre al disagio di non essere riusciti a ritirare le valige, si insinua nella mente il ricordo di un articolo dei giorni scorsi che parlava del caos bagagli a Fiumicino. Erminia ci rincuora e ci ricorda che poteva andare peggio: l'aereo poteva cadere! Solo dopo le 23 riusciamo ad uscire dall'aeroporto. L'Armenia è una terra con i segni di una storia millenaria abitata da un popolo paziente ed orgoglioso, che ha saputo cancellare le tracce di tante guerre in pochi anni. Abbiamo avuto un'accoglienza intelligente ed affettuosa, siamo passati senza destare eccessiva curiosità o sorpresa. A parte le zingare, nessuno ci ha infastidito ed abbiamo trovato persone disposte sempre a sorridere. Ci resta il rimpianto di non aver visto nulla del nord del paese. Può darsi che qualche amico invogliato dai nostri racconti voglia visitare l'Armenia, ed allora, chissà, potremmo anche accompagnarlo,... ma lo faremo solo quando ci sarà un volo diretto per Yerevan!

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