Venerdì 4 marzo 2005

Alle nove tutti in pullman per il breve trasferimento in aeroporto. Consegniamo i bagagli ed attendiamo di salire a bordo.

La vetrata della sala di aspetto si affaccia sul fiume. L’acqua, del colore di un cappuccino, é leggermente increspata.

Alle 11 decolliamo diretti a Iguaçu. Il panorama sotto di noi é diverso da quello che abbiamo lasciato ieri. Sotto di noi si scorgono case con verdi prati divisi da appezzamenti di campi e boschi.

I corsi d’acqua hanno tutti un colore marrone. Di tanto in tanto si leva una colonna di fumo denso provocata dall’incendio delle stoppie.

Alle tredici atterraggio e recupero delle valige.

Ci accoglie la nostra guida locale. Un brasiliano di nome Piazza detto Pupo, paffuto con capelli rossi ed irsuti. Porta sempre un cappellaccio di paglia, forse per nascondere un’incipiente calvizia. Ritira i passaporti per espletare le pratiche per attraversare la frontiera. Il nostro albergo si trova dalla parte brasiliana. Si fa battere sul tempo e lascia passare una comitiva di duecento spagnoli. Alle 14,15 si parte diretti alle cascate.  Abbiamo fretta. Dobbiamo arrivare presto alle cascate prima che il sole sia basso sull’orizzonte e ci impedisca di fare buone fotografie perché dal nostro punto di osservazione lo avremo di fronte. Probabilmente non passeremo nemmeno dall’albergo. No dall’albergo dobbiamo passare: dobbiamo cambiare pullman. Quello che abbiamo, argentino, non può entrare nel parco delle cascate: tutti debbono vivere!

Scendiamo e rapidamente, senza entrare in camera, prendiamo posto sul nuovo pullman.

Ci fermiamo davanti al piazzale dove partono gli elicotteri per sorvolare le cascate. Ogni dieci minuti parte un volo con quattro passeggeri a bordo per sessanta dollari ciascuno.

Dobbiamo aspettare venti minuti poi verrà il nostro turno. Undici hanno prenotato il volo e si discute sull’assegnazione dei posti. Uno dei passeggeri sale di fianco al pilota e gli altri tre di dietro, uno in mezzo gli altri a fianco dei finestrini.

Nessuno vorrebbe occupare la posizione centrale: “Io faccio le foto, io le riprese...“ L’impresa é più difficile della quadratura del cerchio. Comincia una trattativa per la formazione dell’equipaggio ed il sorteggio per l’occupazione dei posti.

Arriva il nostro turno. Non ho mai volato su un elicottero e l’esperienza é emozionante. Non sembra di volare ma di galleggiare nell’aria. L’avanzamento non é rapido come quello di un aeroplano e si ha modo di osservare bene quello che sta sotto di noi. Sono impegnato a riprendere al meglio quello che sto vedendo e non riesco nemmeno a pensare se ho paura o no. Sotto di noi il panorama mozza il fiato: tonnellate di acqua scorrono nel fiume e formano un numero incredibile di cascate. Sembra che la terra si sia rotta e una parte abbia perso l’appoggio precipitando in basso.

Fatti due giri completi per permettere a tutti i passeggeri di vedere lo spettacolo da ogni parte, rientriamo.

Dieci minuti sono passati in un baleno ed eccoci atterrare sul prato.

Sono confuso ed emozionato e una volta a terra si impadronisce di me un’eccessiva euforia. Poi le gambe cominciano a tremare un poco, ma bisogna raccontare le proprie emozioni a chi é rimasto a terra e non c’é tempo per pensare.

Finiti i voli saliamo sul pullman e fatti pochi metri ci fermiamo all’ingresso del parco. Dobbiamo scendere e passare uno per uno attraverso due tornelli e risalire nuovamente sul pullman: fidarsi é bene ma non fidarsi é meglio.

Non basta essere accompagnati da una guida e da un autista autorizzato ad entrare nel parco, che potrebbero garantire sul numero dei passeggeri. Dobbiamo passare uno ad uno le forche caudine dell’ingresso e farci contare senza possibilità di errore.

 

Ancora alcuni chilometri e scendiamo di fronte alle cascate. Una passeggiata di mille e trecento metri ci porta pian piano sino al termine della passerella brasiliana. Il pomeriggio non garantisce il miglior punto di vista: il sole si sta abbassando sull’orizzonte e molti dei salti sono controluce, ma lo spettacolo é sempre emozionante.

 

Lungo il sentiero incontriamo alcuni procioni e delle scimmie. Giunti quasi al termine, ci inoltriamo sulla passerella che ci porta proprio in mezzo alla cascata. L’acqua ridotta in piccolissime gocce trasportate dal vento ci bagna e si mescola al sudore che abbiamo addosso. La temperatura, che é bassa perché stanotte é piovuto, supera i trentacinque gradi e l’umidità raggiunge il novanta per cento.

Prendiamo un ascensore e saliamo al di sopra del punto più alto delle cascate, Quindi risaliamo sul pullman. Facciamo una sosta dopo poche centinaia di metri all’hotel Las Cataratas. A fianco della hall ci offrono bibite fresche e ci attirano per farci acquistare gioielli e monili. Organizzano persino una lotteria per farci rimanere il più a lungo possibile. Alle 20, madidi di sudore, rientriamo al Recanto Park Hotel. Una salutare doccia, un cambio completo degli abiti e poi si cena. Il servizio é a buffet. Per le consumazioni extra l’albergo ci ha fornito di una tesserina di plastica col numero della stanza e tutto quello che ordineremo ci verrà addebitato al momento della partenza.

L’albergo é infuocato. All’esterno fa ancora caldo e l’impianto di aria condizionata é in funzione nelle camere solo se siamo presenti. Quando raggiungiamo stanchi il letto l’aria é irrespirabile e adesso che cerchiamo di prendere sonno, il compressore della macchina ronza come uno scooter.

 

Sabato 5 marzo 2005

Alle sei e quarantacinque, sveglia. Colazione e alle otto tutti pronti in pullman. Mi sono dimenticato di prendere le medicine e faccio una corsa in camera. Torno trafelato al mio posto. Daniela ha già contato i presenti: ci sono tutti. Pupo prende il microfono: “Avete preso tutti il passaporto?” “No!” Roberto si alza di scatto e si precipita a recuperare il documento seguito da altri tre di noi che in maniera meno plateale  rimediano alla dimenticanza.

Un quarto d’ora dopo cominciamo a dirigerci verso la frontiera. Ci fermiamo sopra il ponte Tancredo Nevis, inaugurato nel 1985 che unisce il Brasile all’Argentina. Sulla destra é possibile scorgere la foce del fiume Iguaçu che si butta nel Paranà e al di là del fiume la riva paraguaiana. Le pratiche per il passaggio alla dogana sono più rapide. Oggi per passare si paga un pedaggio e si fa molto più in fretta.

Arriviamo all’ingresso del parco delle cateratas dal lato argentino e a piedi cominciamo a dirigerci verso la stazione del treno ecologico de la selva.

Un treno con vagoni aperti, alimentato a gas liquido, percorre a bassa velocità il tratto che porta all’inizio delle passerelle che raggiungono la sommità della Gargante del Diablo. La passerella, ricostruita dopo che nel 1982 una piena ha distrutto quella precedente, ha la base in ferro con le piattaforme forate in modo da poter resistere ad una nuova piena.

Il numero delle persone che la percorrono velocemente é elevato. Il trenino ha sbarcato alcune centinaia di persone ed adesso tutte hanno fretta di godere dello spettacolo. Basterebbe aspettare un attimo e l’ondata di piena dei turisti scemerebbe, l’impazienza non fa ragionare nessuno e ci accalchiamo lungo le strette passerelle che terminano proprio sopra il salto. L’acqua vaporizzata ricade sopra di noi bagnandoci. Nonostante le giacche impermeabili siamo fradici. La massa d’acqua che si precipita a valle é enorme ed il rumore é fragoroso.

Ripercorriamo a ritroso la stessa strada, riprendiamo il treno e torniamo alla stazione di partenza.

 

Iniziamo il percorso del circuito superiore sul salto Dos Ermanos, sul salto Bossetti, sul salto Bernabé Mendez. Ad ogni terrazza il paesaggio cambia e l’occasione per fare nuove foto non manca.

Davanti a noi vediamo il salto San Martin che dopo la Gargante del Diablo é quello che ha la portata d’acqua maggiore. Alle 12,30 ci fermiamo a mangiare al ristorante El Fortin. Il pranzo é a buffet, ricco e con portate tutte gustose.

L’appuntamento per ripartire é fissato alle 15. Non capiamo perché ci lascino tanto tempo.

 

 

Per vedere le cascate abbiamo quasi corso ed ora siamo fermi a boccheggiare sotto le fronde di due enormi fichi selvatici in attesa di ripartire.

Sarebbe stato meglio fissare il pranzo mezz’ora più tardi e lasciarci più tempo per cercare di evitare la ressa che si accalcava alla balaustra di ogni terrazza. D’altra parte siamo in quarantadue e bastiamo noi a fare confusione.

Alle quindici percorriamo il circuito inferiore e ci portiamo sotto il salto Bossetti.

Il rumore dell’acqua é assordante e lo spettacolo entusiasmante. Vediamo i gommoni avvicinarsi alle cascate e sparire fra gli spruzzi d’acqua. Fra poco toccherà a noi.

Scendiamo per una lunga scalinata sino al livello dell’acqua, ci spogliamo, infiliamo le nostre cose in sacchi di plastica e ci imbarchiamo sul gommone. Non é una semplice doccia é una doccia multigetto che non lascia asciutto nulla. Cerchiamo di tenere ben strette le aperture dei nostri sacchetti, ma gli sforzi si riveleranno vani l’acqua penetra dappertutto.

Un passaggio sotto le cascate, poi un altro ed un altro ancora. Si cambia salto e altre due potentissime docce. Poi iniziamo una velocissima discesa lungo le rapide del fiume. Il pilota si lancia in evoluzioni sulle onde. Sembra di essere in un enorme idroparco. Ma qui é tutto naturale e dieci volte più grande.

Scendiamo a valle percorrendo alcuni chilometri e risaliamo a piedi.

Ci aspetta un camion, sempre alimentato a gas, che ci porta lungo una strada in mezzo alla foresta tropicale. Qualche sosta per ammirare alcune varietà di alberi, i procioni e poi sbuchiamo all’entrata del parco dove termina la nostra gita. Una sosta ad un duty free shop, centro commerciale modernissimo per gli ultimi acquisti della giornata e poi in albergo. Un lungo tuffo in piscina e tutti a tavola. Si festeggia il compleanno di Maria Teresa.

Quindi ciascuno, stanco ed emozionato per la giornata trascorsa, pian piano raggiunge il letto. Domani si parte per rientrare a casa.

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